L’Europa è già sotto accusa per le politiche troppo “tiepide” su clima e adesso arrivano anche le foreste a mettere ulteriormente a rischio le attività per “combattere” i cambiamenti climatici del Vecchio Continente. L’aumento delle foreste non dà i risultati sperati. Molte delle attuali politiche ambientali, infatti, si basano sull’assunto che l’aumento della superficie boschiva possa mitigare il cambiamento climatico attraverso il sequestro di carbonio, e al tempo stesso sostenere la biodiversità, ma un recente studio internazionale, coordinato dalla Sapienza di Roma, sembra però far emergere un altro dato, ossia che le politiche di afforestazione della Ue contribuiscano solo marginalmente a mitigare il cambiamento climatico.
«Le pratiche europee sostengono l’espansione della superficie delle foreste come strumento per compensare le emissioni di CO2 derivanti dalla deforestazione e dall’uso di combustibili fossili. -afferma Sabina Burrascano, biologa della Sapienza e primo autore dello studio – Però questa estensione avviene spesso a discapito di praterie semi-naturali gestite estensivamente, che a livello europeo, hanno una grande importanza per la conservazione della biodiversità».
Lo studio, coordinato dalla Sapienza in collaborazione con università e centri di ricerca di Berlino, Brno, Parigi e Amsterdam e pubblicato sulla rivista Biological Conservation, mostra come tra il 1990 e il 2015, nel territorio dell’Unione europea (EU-27) la superficie forestale è aumentata complessivamente per circa 12,9 milioni di ettari.
«Dalla nostra ricerca sembra emergere il paradosso che, attraverso le attuali politiche, l’Unione Europea possa finanziare da una parte il mantenimento di queste praterie in alcune aree e contemporaneamente la conversione in foreste di praterie simili in altre aree. – prosegue Sabina Burrascano – Di fatto, però, insistere sulla afforestazione può comportare un sostanziale declino della biodiversità e dei servizi ecosistemici legati alle praterie semi-naturali e contribuire solo marginalmente agli impegni internazionali per mitigare il cambiamento climatico».
Oltre il 10% dei quasi 13 milioni di ettari, ossia circa 1,5 milioni di ettari sono riconducibili a normative e dei programmi promossi dalle politiche europee, mentre la restante parte dovuta all’abbandono delle pratiche pastorali e del conseguente ritorno spontaneo alla vegetazione boschiva.
«La forte ambivalenza nelle politiche europee e nei meccanismi di finanziamento per intervenire su questo tema, con la Direttiva Habitat, le misure di greening previste dalla Politica Agricola Comunitaria e i Fondi per lo sviluppo, impone la necessità di concentrarsi su tutta la gamma di servizi ecosistemici e di affrontare i problemi secondo un approccio interdisciplinare sia in campo scientifico che politico». conclude la Burrascano.
Insomma serve un approccio e una visione più ampia, tenendo conto che i “servizi” resi dagli ecosistemi vanno ben oltre il clima. La Commissione Europea, per esempio, stima che il valore economico dei servizi ecosistemici – in generale e non solo per il clima – delle sole aree protette della rete europea “Natura 2000” ammonti a 200-300 miliardi di euro all’anno, a fronte di un costo annuale di mantenimento pari a 5,8 miliardi.
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