Il fabbisogno energetico delle famiglie rappresenta una fetta importante della richiesta energetica totale. Eppure, contenere i consumi domestici è possibile, oltreché necessario. In che modo? Nell’ambito della nostra campagna Cambia la tua Energia, ne abbiamo parlato con il giornalista scientifico Sergio Ferraris, direttore della rivista Quale Energia.
Quali sono i principali settori da cui derivano i consumi energetici?
I consumi energetici, a livello globale, sono divisi in tre grandi macroaree: trasporti (40%), manifattura (30-35% circa) e residenziale (30-35% circa).
Quanto incidono i consumi energetici delle famiglie?
Bisogna distinguere tra consumi diretti e consumi indiretti. Anche i consumi indiretti, come ad esempio gli acquisti, comportano un dispendio di energia: l’energia impiegata per realizzare il prodotto che noi compriamo. Per quanto riguarda i consumi diretti delle famiglie, possiamo distinguere due grandi categorie. Da una parte vi è l’energia elettrica, che sta drasticamente calando grazie ai miglioramenti degli elettrodomestici registratisi in un’ottica di efficienza energetica. Si pensi che negli ultimi anni i frigoriferi hanno diminuito i loro consumi del 60%, a parità di prestazioni. Le lampadine a led comportano invece una riduzione dell’80% dei consumi elettrici. Nel settore domestico, dunque, l’introduzione delle nuove tecnologie ha fatto compiere passi da gigante sul fronte dell’efficienza energetica, che è diventata una regola di mercato per i produttori e la leva su cui puntare per convincere i consumatori ad acquistare un nuovo apparecchio: se un elettrodomestico consuma il 60% in meno significa che in poco tempo il costo dell’acquisto iniziale viene ammortizzato. Ciò non vale però nel settore dei trasporti: in questo ambito i miglioramenti in un’ottica di efficienza energetica sono stati accompagnati da un aumento delle prestazioni dei veicoli per cui i consumi sono rimasti pressoché invariati rispetto al passato.
Dall’altra parte vi è il problema del riscaldamento domestico…Perché consumiamo tanta energia per la climatizzazione delle nostre case?
In questo ambito l’efficienza è minore, sia negli impianti che nelle case stesse. Si consideri che il 70% del patrimonio edilizio italiano risale a prima degli anni ’90 e dunque è antecedente alle prime leggi sull’efficienza energetica: ciò significa che viviamo in case che dal punto di vista energetico sono dei veri e propri colabrodo. Si stima che nel nostro Paese venti milioni di appartamenti avrebbero bisogno di una ristrutturazione energetica.
Quali sono i principali ostacoli alla riqualificazione energetica degli edifici?
Da un lato vi sono le difficoltà economiche, dall’altra vi è una scarsa abitudine delle persone ad avere una visione a medio e lungo termine. Vi sono quindi delle resistenze ad investire nel futuro.
Da dove si potrebbe partire per abbattere gli sprechi domestici?
Si potrebbe partire autoproducendo energia e al contempo convertendo la propria casa. Oggi i prezzi per installare un impianto fotovoltaico sul tetto si sono abbassati notevolmente ed esistono delle tecnologie molto mature per abbattere gli sprechi. È molto importante l’integrazione. Faccio un esempio. Esistono delle pompe di calore aria-aria che sono in grado di riscaldare un appartamento utilizzando solo l’energia elettrica della ventola, cioè 300 watt, quindi molto poco. Alimentando questa ventola con l’impianto fotovoltaico il consumo di energia dall’esterno è praticamente nullo. Esistono, quindi, sistemi intelligenti che garantiscono comfort e allo stesso tempo risparmio energetico. È ovviamente prioritario avere una visione a lungo termine per capire che queste tecnologie, anche quando comportano un investimento iniziale, nel tempo sono proficue.
Come hai spiegato, i consumi di energia elettrica stanno calando negli ultimi anni grazie all’efficientamento energetico degli apparecchi che utilizziamo quotidianamente. Credi che questa diminuzione sia dovuta anche ad una maggiore consapevolezza delle persone circa l’importanza di ridurre gli sprechi?
Dal punto di vista del consumismo non vedo purtroppo, in generale, un aumento di consapevolezza. Si pensi al fatto che cambiamo computer e telefoni con estrema facilità, seppur perfettamente funzionanti, per soddisfare bisogni assolutamente indotti. E’ l’obsolescenza programmata psicologica. Noto molta sensibilità alle sirene del consumismo. Un esempio? Le file per acquistare l’ultimo modello di Iphone. Oltretutto si tratta di oggetti rivolti ad un mercato di massa, e questo perché sono diminuiti i prezzi. Tuttavia questo calo di prezzo qualcuno lo sta pagando: basta fare un giro in rete per sapere, ad esempio, che la batteria di un telefonino viene fatta sfruttando persone, spesso bambini, nelle miniere del Coltan in Africa. Il costo, anche in termini di impatto ambientale, dello stile di vita occidentale è elevatissimo.
Qual è l’impatto ambientale di tutto questo?
Nel 2015 abbiamo immesso nell’atmosfera 32 miliardi di tonnellate di CO2, nel 1974 ne emettevamo 15 miliardi. Ciò vuol dire che in 40 anni abbiamo più che raddoppiato la quantità. Nonostante l’efficientamento energetico registratosi in tutti i processi, produciamo e consumiamo molto di più rispetto al passato.
Quindi è prioritario promuovere cultura della sobrietà?
Assolutamente sì. La cultura della sobrietà è il presupposto di un diverso sistema di valori per cui la realizzazione personale non passa per il possesso degli oggetti.
Quanto reputi importanti gli accordi “dall’alto” e in particolare i negoziati sul clima al fine di favorire una rivoluzione energetica?
Ritengo che questi accordi, quelli sul clima in particolare, servano a poco. Tuttavia non sempre è così: il trattato di Montreal ha portato nel giro di un due anni alla messa al bando dei cloro-fluoro carburi (CFC), responsabili della riduzione dello strato di ozono presente nella stratosfera. In questo caso il trattato ha funzionato perché vi era una determinazione scientifica, vi è stato un accordo e la volontà di applicarlo. Nel caso del clima è sempre mancata, in seguito alla ratifica, la volontà di impegnarsi.
Gli impegni non vengono rispettati perché non ci si pone il problema dell’esaurimento delle risorse o del progressivo aumento di prezzo dei combustibili fossili. Se non si ripensa all’economia in maniera circolare non si potrà uscire da questo paradigma.
Ad ottobre abbiamo lanciato la campagna “Cambia la tua energia” (che abbiamo deciso di prolungare a tutto il mese di novembre, considerata l’importanza del tema). Abbiamo selezionato un’azione principale da realizzare tutti assieme: cambiare tutti il nostro contratto di fornitura energetica per passare ad uno 100% energia certificata da fonti rinnovabili. Cosa vorresti dire a chi non ha ancora aderito? Perché dovrebbe farlo?
Con questa azione facciamo qualcosa di utile per il clima, per l’inquinamento, per noi stessi e per il nostro Paese. Le rinnovabili, infatti, sono energie a filiera breve che non arrivano, come le fossili, dai paesi del Medio Oriente o dalla Siberia. Gli impianti a fonti rinnovabili sono in Italia, servono tecnici italiani e pagano per intero la fiscalità italiana, producono gettito contributivo e fiscale che poi va a pagare pensioni, sanità e welfare nel nostro Paese. Per questa ragione vale la pena usare fonti rinnovabili, anche se magari costano qualche centesimo di euro a kWh in più. Si tratta di piccole somme che contribuiscono a fare dell’Italia un paese migliore. Poi c’è la questione etica, che si traduce nel pensiero verso i nostri figli. Scegliendo in prima persona le rinnovabili, li si può guardare la mattina, prima di portarli a scuola pensando: “io qualcosa per il loro futuro lo sto facendo”. Una piccola cosa che può strappare un sorriso, un pensiero positivo ogni mattina. E di questi tempi non è poco.
L’intervista è stata realizzata da
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