Il racconto del cambiamento di Enel, top five nella classifica 2015 Change the World di Fortune, parte da un’inversione di rotta a 180 gradi rispetto a ciò che era l’utility anche solo pochi anni fa. Ora è un’azienda che considera l’innovazione il presupposto della sostenibilità, la chiave essenziale per affrontare le sfide poste dalla generazione energetica diffusa, dalla mobilità elettrica, dall’Internet of things e dalle smart cities. Con il coraggio – a volte – di fare i conti con il proprio passato.
Le utilities devono cambiare pelle. E lo devono fare seguendo una direzione diversa rispetto a quella precedente, imposta principalmente dalle questioni ambientali. Clima in testa, ma non solo. Rinnovabili, efficienza energetica domestica e industriale, economia circolare, gestione delle risorse, sono questioni urgenti e sul tappeto che le utilities a tutti i livelli devono affrontare. Ed è ciò che sta facendo Enel, il gestore energetico, partecipato dallo stato italiano che ha distribuito elettricità in esclusiva dal 1963 al 1999, puntando, oggi, più sui servizi che sulla fornitura di energia. Si tratta di un cambiamento radicale per una grande azienda energetica ex monopolista, ex nuclearista – e sulla via di essere ex fossile – che gli impone di pensare alle questioni ambientali non solo in termini di elettroni prodotti e di CO2, ma con un approccio più sistemico. La produzione, ma anche e soprattutto la gestione energetica del futuro, richiedono, infatti, d’affrontare al meglio le trasformazioni indotte dall’economia circolare, dalla generazione energetica diffusa, dall’Internet of things e dalle smart cities, con un approccio molto più complessivo rispetto al passato. E l’amministratore delegato di Enel Francesco Starace deve essersene convinto, visto che ha unificato la divisione sostenibilità dell’azienda con l’innovazione e ne ha dato la guida a Ernesto Ciorra che è considerato uno dei protagonisti dell’innovazione a livello internazionale ed è esperto di telecomunicazioni e finanza. Si tratta di un caso d’ibridazione non casuale. In Enel, infatti, si stanno ribaltando sia le logiche d’azione esterne, sia quelle interne per rendere permeabile l’azienda alle sollecitazioni innovative, di carattere sociale, di mercato e ambientale. Ernesto Ciorra ha raccontato a Materia Rinnovabile le dinamiche e le metodologie che si stanno applicando nell’impresa.
Enel si è aperta in questi ultimi anni all’esterno, in una maniera inusuale per un’utility. Come mai?
“Oggi il nostro obiettivo è quello di accedere alla ‘ricchezza’ dell’innovazione coinvolgendo soggetti interni ed esterni, per consentire all’azienda di avvalersi dei migliori talenti offerti dal mercato internazionale. Stipuliamo partnership industriali con chi lavora presso grandi aziende, mentre diamo la possibilità di collaborare a chi è impegnato in piccole start-up. Usiamo anche InnoCentive, piattaforma online che raccoglie le soluzioni offerte dagli innovatori indipendenti ai problemi irrisolti e che, una volta implementate, le finanzia. L’obiettivo di tutto ciò è quello di collocare Enel tra le prime cinque aziende al mondo in materia d’innovazione.”
E cosa è successo?
“La prima cosa che abbiamo fatto è stata la chiusura – in un anno – di ventidue centrali non più competitive ed efficienti. Ma non solo. Si è innovato anche e soprattutto all’interno. Un esempio. L’amministratore delegato Francesco Starace ha inviato tutto il top management, lui compreso, a studiare dodici ore al giorno l’innovazione all’Università di Harvard. Ha voluto trasformare l’azienda partendo dal management. E ha avuto ragione. Se non si parte dall’alto, al di sotto le cose non accadono.”
I risultati?
“Si sono visti subito. Nel 2015, nella classifica redatta da Fortune (Change the World), siamo stati considerati la quinta azienda che sta cambiando l’umanità: una classifica basata su due parametri relativi all’innovazione e due alla sostenibilità. Siamo subito dopo Vodafone, Google, Toshiba e Wall Mart. Nel 2016, poi, Bloomberg ha messo Enel tra le cinquanta aziende da monitorare. Due riconoscimenti a conferma che abbiamo intrapreso la strada giusta. Ma abbiamo ancora molto da fare.”
Bene le classifiche, ma andiamo oltre. Che cosa dovete ancora fare?
“Dobbiamo affrontare due o tre grossi problemi e cercare di risolverli. Uno di questi è l’accesso all’energia. Le persone nel mondo che non hanno accesso all’energia sono 1,2 miliardi e un altro miliardo ha un accesso precario. Per superare questo problema puntiamo su soluzioni rinnovabili e a basso costo che consentono di portare ovunque l’energia. Stiamo lavorando con grandi player come Google X – il centro ricerche di Google –, con Tesla, con Toshiba e altre. Si tratta di partner con i quali vogliamo fare innovazione nel concreto, indipendentemente da dove si trovino. Un altro tema è la mobilità elettrica. Con Nissan, lavoriamo per rendere l’autovettura elettrica una ‘batteria che cammina’. Così, in Danimarca, l’auto elettrica una volta attaccata alla colonnina, è in grado di stabilizzare la rete. Senza emettere CO2 e senza che siano necessarie nuove batterie statiche, ma utilizzando quelle dell’auto. In questo siamo i primi al mondo e nel 2017 svilupperemo questo sistema anche in Germania e nel Regno Unito, ricevendo grande attenzione da parte dei decisori locali che ci stanno spingendo a implementare la tecnologia delle ‘batterie diffuse’. Si tratta di una nicchia di 20.000 auto nel Regno Unito e in Danimarca, ma quando avremo finito, con un milione di autovetture elettriche, tutti i bilanciamenti si potrebbero fare senza coinvolgere le centrali elettriche. Il tutto con maggiore rapidità ed efficienza nei tempi di risposta e con il vantaggio che le batterie sono più flessibili, performanti e permettono d’utilizzare una maggior quota di rinnovabili nella rete. È un aspetto innovativo della sharing economyche unisce generazione diffusa e smart cities, in un connubio inedito. L’utente possiede la batteria, la condivide con il gestore della rete ed è pagato per questo servizio. Il nostro obiettivo è quello di offrire agli automobilisti energia elettrica a costo zero in cambio dell’utilizzo della batteria. E i servizi di rete avranno un valore che sarà superiore a quello dell’energia elettrica fornita per la ricarica, cosa che consentirà a noi di mantenere dei buoni margini.”
Qual è la situazione italiana sul fronte dei “servizi” energetici?
“In Italia abbiamo una buona rete, un’ottima esperienza nella gestione d’impianti diffusi e possiamo contare sul fatto che la totalità dei contatori sono elettronici. I contatori che stiamo installando in Italia sono di terza generazione: siamo i primi al mondo a utilizzarli. Si tratta di dispositivi che possono essere letti ed effettuano qualsiasi controllo sull’elettricità in tempo reale. Con vantaggi anche in termini di sicurezza: il nuovo contatore potrà operare con un sensore del gas e sospendere l’erogazione d’elettricità in caso di fuga di gas. E sempre a proposito di contatori, siamo entrati nella Green Button Alliance statunitense, un’iniziativa tesa a facilitare l’accesso ai propri dati di consumo da parte degli utenti finali, anche attraverso l’unificazione degli standard voluta da Barak Obama.”
E i vantaggi quali sono?
“Semplice. In questa maniera l’App sviluppata negli Stati Uniti per visualizzare i dati di consumo, si può utilizzare in tutti quei paesi che hanno adottato quello standard. Se invece i dati sono resi disponibili in maniera diversa non ci sarà qualcuno che svilupperà simili App perché il mercato è limitato. È un classico caso nel quale la non interoperatività frena l’innovazione.”
Tutte queste attività non ledono alla fine il fatturato? Non portano a vendere meno energia?
“Per prima cosa bisogna considerare il fatto che le cose se non le facciamo noi, le fa qualcun altro. Dobbiamo presentarci in maniera innovativa rispetto ai clienti, creando valore e soluzioni nuove. Pensiamo alla mobilità elettrica. Un’auto consuma il 70% rispetto a una casa: se ci fossero dieci milioni di auto elettriche in Italia, ci sarebbero sette milioni di clienti/equivalenti in più nel mercato energetico. Noi dobbiamo evitare gli sprechi e contemporaneamente aumentare le opportunità di distribuzione d’energia elettrica. Spingiamo sulla mobilità elettrica perché riteniamo sia una soluzione al problema dell’inquinamento. E sia una soluzione utile. E quando una cosa è utile a tutti, alla fine si consolida e per un’impresa diventa un’opportunità.”
Non è troppo distante, in termini di cultura d’impresa, la mobilità da ciò che avete sempre fatto?
“Abbiamo studiato e siamo arrivati a essere la prima società d’energia al mondo che ha lanciato un’offerta integrata di auto elettrica a costo mensile, il wall boxper la ricarica e la sua installazione e la fornitura d’energia con l’App che cerca le colonnine di ricarica abilitate. Quest’offerta è disponibile per gli utenti con la Nissan Leaf, ma durante la sperimentazione interna, con i dipendenti, abbiamo usato anche Mercedes Classe B e Bmw I3. Prima di offrire all’esterno queste soluzioni le proviamo con i nostri dipendenti. Stiamo semplificando il processo d’acquisto in attesa che cresca la rete distributiva dell’elettricità e che siano varati degli incentivi. Nel frattempo lavoriamo dove possiamo portare dei risultati: ossia l’offerta.”
Ancora incentivi. A cosa servono?
“Gli incentivi servono a sviluppare il mercato e di conseguenza ad attrarre gli investimenti. Se in Italia non si svilupperà la mobilità sostenibile, in un primo momento anche grazie agli incentivi, non ci dovremo poi lamentare del fatto che le auto elettriche siano prodotte all’estero. Ma gli incentivi possono anche non essere monetari. Per esempio un incentivo all’auto elettrica può essere vincolare i Comuni, con una norma nazionale, ad assegnare un posto auto – e la relativa colonnina di ricarica – a chi acquista un’auto elettrica e non dispone di un garage dove ricaricarla. Un provvedimento, anzi una facilitazione, a costo zero che potrebbe essere offerta ai primi acquirenti delle vetture elettriche.”
In concreto, come siete arrivati ad occuparvi della mobilità sostenibile?
“In primo luogo abbiamo creato un’offerta semplice, innovativa e sostenibile per i nostri dipendenti. La Funzione Innovazione e Sostenibilità ha raccolto da loro i feedback del processo esistente e abbiamo riscontrato che era troppo complesso. Sostanzialmente abbiamo verificato la customer experience dei ‘customer dipendenti’ che fungevano da clienti. Poiché queste esperienze non erano esattamente il massimo, le abbiamo semplificate grazie ai loro consigli, fino a confezionare l’offerta a un’area interna che si occupa solo di new business.”
Ci fa capire meglio?
“Mi spiego. In azienda abbiamo un’area che vende l’energia e un’altra che vende solo i new business, tra i quali la mobilità elettrica. Abbiamo attivato un team dedicato con persone che si occupano solo ed esclusivamente di mobilità elettrica. Si tratta di un’unità che studia a 360° tutti i problemi della mobilità: al momento sta lavorando sullo sharing degli scooter, biciclette e autovetture. Ricordo a tale proposito che noi siamo partner di Car2Go, il car sharing elettrico più grande d’Europa che solo a Madrid ha 500 auto elettriche: questo per dire che non è la prima volta che affrontiamo queste problematiche. Più in generale ci siamo resi conto che non possiamo gestire cose nuove con la stessa organizzazione di prima. Siamo entrati nel settore del bilanciamento di rete (si tratta del servizio svolto in tempo reale per mantenere la rete elettrica in equilibrio tra immissioni e prelievi, per risolvere congestioni e garantire opportuni margini di riserva secondaria di potenza, ndr) con le autovetture elettriche, in Danimarca e nel Regno Unito spendendo circa 100.000 euro a paese, mentre prima per farlo si dovevano possedere delle centrali con investimenti ben maggiori. Siamo i primi a cannibalizzare attraverso l’innovazione, il passato del settore e parte di noi stessi, per aprire altri possibili business. Ora siamo attivi in settori che non erano storicamente i nostri.”
Tutte queste innovazioni cosa hanno significato a livello aziendale?
“La struttura interna di Enel è profondamente cambiata. È stata creata la Divisione Sostenibilità che successivamente si è fusa con quella Innovazione. Ciò ha mutato in maniera profonda l’assetto dell’azienda, che è tecnologica, pertanto tutta l’innovazione legata alla tecnologia è ora guidata dalla sostenibilità. Si tratta di una logica pervasiva e l’innovation sostenibilty managerche sarei io, è presente anche nei principali comitati di decisione. Siedo al comitato investimenti dell’Enel e se un investimento non è sostenibile e innovativo credo non abbia senso farlo. Innovazione e sostenibilità non possono stare fuori dalla governance aziendale.”
E per quanto riguarda l’innovazione all’esterno delle dinamiche aziendali?
“Siamo in grado di lavorare con start-up che fatturano zero euro e hanno zero dipendenti. È una caratteristica che possediamo solo noi in Italia, un’innovazione profonda delle dinamiche aziendali. E abbiamo eseguito modifiche interne per lavorare con figure esterne competenti. Ma non solo.”
Ossia?
“Per esempio ora qualsiasi dipendente Enel nel mondo può proporre nuovi business e se ha l’ok del suo country manager ottiene i finanziamenti per farsi la propria start-up. Abbiamo investito 16.000 giornate e coinvolto 860 persone, oltre alle risorse economiche necessarie per lo sviluppo delle proposte ideate dai colleghi. Si tratta di una rivoluzione culturale perché un dipendente che non ha alcun potere gerarchico può diventare, se approvato, capo della propria start-up sbaragliando tutta la gerarchia. Oltre a ciò abbiamo lanciato iniziative come ‘My Best Failure’ in cui le persone condividono gli errori commessi quando hanno provato a fare qualcosa di nuovo.”
Premiare i fallimenti? Cosa c’è di positivo in un fallimento?
“Quando si fa qualcosa di nuovo, c’è sempre qualcosa che si sbaglia. Noi vogliamo aumentare il numero degli errori per elevare quello dei successi e contemporaneamente azzerare gli errori ripetuti. Invitiamo le persone a condividere i propri errori con ‘My Best Failure’ e premiamo chi viene eletto dalla comunità come il più bravo, perché per noi gli errori condivisi sono molto utili. Chi vince viene premiato e mandato a lavorare un periodo in un altro paese e presso un’area aziendale di suo gradimento ed eventualmente anche in una start-up che lavora con noi.”
Come selezionate l’innovazione?
“Abbiamo diviso l’innovazione in due macroaree: quella che riguarda i processi e le tecnologie produttive interne e quella che riguarda il cliente. La prima è gestita dalla business line e la selezione viene fatta direttamente da chi gestisce le tecnologie e i processi. Così, se arrivano nuove metodologie e pratiche, come per esempio quelle circa la facilità della pulizia dei pannelli solari, chi gestisce l’aspetto dall’interno decide se usare o meno le nuove metodologie. In questa maniera abbiamo integrato totalmente l’innovazione in tutte le aree di business. Chi fa la pulizia dei pannelli solari ha il suo referente per l’innovazione, che è quello della divisione rinnovabili, il quale propone le nuove soluzioni, ma alla fine è lui che decide. La seconda macroarea tende a mantenere una prossimità con il cliente. Non si può selezionare una cosa che riguarda il cliente se non lo si ha vicino. Per questo, come dicevo, sulla mobilità sostenibile abbiamo fatto, prima, dei test sui clienti ‘interni’ ossia sui nostri dipendenti. E quando abbiamo lanciato le nuove soluzioni per la smart home che offrono un servizio di monitoraggio energetico della casa, dove è integrato un sistema contro i furti, lo abbiamo testato su 500 colleghi che ci hanno mandato un feedback su benefici e criticità.”
A proposito di processi innovativi, c’è altro?
“Sì, in Enel applichiamo la ‘formula dell’innovazione’ che ho creato e brevettato assieme al collega Ivan Ortenzi.”
Di cosa si tratta?
“La ‘formula dell’innovazione’ afferma che l’innovazione è uguale alla moltiplicazione dei valori di tre aspetti: la creatività (ovvero avere una buona idea e assegnarle un valore da 1 a 10), l’esecuzione (ossia come si implementa la propria idea e darle un valore da 1 a 10) e l’appeal (cioè il valore riconosciuto da un cliente a quell’idea con quella implementazione e assegnarle un valore da 1 a 10). Si tratta quasi di un gioco che obbliga a pensare a come generare le idee, per garantirne l’implementazione e per misurare l’appeal da parte del cliente. Faccio un esempio. Nel 2004, ho collaborato con Nokia nell’ideazione di un cellulare touchscreen con navigatore incluso. Si trattava del Nokia 7710. L’idea aveva un valore pari a 10, così come l’implementazione e l’appeal del navigatore, mentre l’appeal del touchscreen allora valeva 0, perché all’epoca nessuno lo desiderava. Quindi applicando la ‘formula dell’innovazione’: 10 per 10 per 0 il risultato era 0.”
Era un’innovazione arrivata troppo presto?
“Esattamente. All’epoca tutti desideravano un cellulare piccolo, a forma di conchiglia, al contrario dei cellulari d’oggi senza tastiera. Il Nokia 7710 era molto, ma molto simile agli attuali iPhone o Samsung Galaxy, e parliamo di quattordici anni fa. Un’idea intelligente, con un’implementazione altrettanto intelligente che non ha avuto sufficiente appeal in quel momento. Questo è il motivo per cui è essenziale guardare ai clienti. Nel caso delle tecnologie interne i nostri i clienti sono i colleghi che le gestiscono, mentre per l’esterno si fa rifermento ai clienti finali.”
Oggi si fa un gran parlare di “Internet of things”. È un universo immenso. Seguendo il suo ragionamento ci possono essere una lavatrice con appeal 10 e un frigorifero con appeal 0. Cosa significa per voi, che siete un distributore d’energia, entrare in questa logica?
“Non avremo Internet of things, ma Internet of everything, ossia la rete sarà in ogni cosa, perfino nelle medicine che assumeremo. Saranno medicinali intelligenti, connessi a un sistema di monitoraggio che interverrà facendo rilasciar loro il principio attivo al momento in cui occorre. Oggi stiamo facendo l’Internet of things nelle nostre centrali e nei nostri impianti. Anche i nostri colleghi devono essere connessi e se, per esempio, hanno un infortunio il sistema se ne deve accorgere, lanciando un allarme, segnalando la posizione e facendo arrivare nel minor tempo possibile i soccorsi.”
Come vede i prossimi cinque/dieci anni sul fronte dell’innovazione?
“Sempre più divertenti e interconnessi, specialmente in termini di settori. Siamo attivi nella banda larga, nelle smart home e nella sicurezza delle abitazioni, siamo attivi nella vendita di automobili e nel bilanciamento di rete. Facciamo cose che solo due anni fa, al mio ingresso in Enel, non si facevano. Sono sei o sette nuovi business. Vendiamo assicurazioni unitamente alla fornitura energetica dell’abitazione e venderemo assicurazioni per le autovetture. Poi ci sono i dati sulla mobilità. Per esempio, sarà possibile ottimizzare i percorsi per i consumi e i tempi, scegliendo quelli che evitano i semafori. Credo che ci sarà sempre più spazio per fare cose positive e sempre maggiore competizione tra i diversi settori.”
In un contesto sempre più connesso che tipo di competizione sarà?
“Sarà una competizione che può diventare cooperazione. Stiamo collaborando con Google per le nuove tecnologie di generazione energetica. Google possiede i dati di tutti i clienti in cerca di una nuova abitazione e quindi di un nuovo fornitore d’energia e può dare informazioni sull’abitazione, comparare tra loro i fornitori, proporre l’acquisto del fotovoltaico con l’accumulo, offrire un algoritmo d’ottimizzazione rispetto ai consumi specifici dell’utente per dimensionare al meglio il sistema energetico e non dipendere dai fornitori d’energia. Ecco. Google può diventare un nostro competitor, come potrebbe esserlo Amazon che potrebbe gestire l’energia prodotta dall’utente vendendola a un altro, saltando Enel. Ma con questi soggetti potremmo collaborare e non competere. I modelli di business stanno diventando sempre più frastagliati e interconnessi tra loro.”
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