Dalle parole ai fatti. L’amministrazione statunitense retta da Donald Trump vuole chiudere il mercato interno delle rinnovabili e dell’efficienza energetica. Grazie a una serie d’indiscrezioni rivelate dal Washington Post, da Bloomberg e altre fonti d’informazione, infatti, è stato reso noto che Trump vuol chiedere al Congresso americano di ridurre di oltre due terzi il budget dell’ufficio del Dipartimento dell’Energia che si occupa di efficienza e fonti rinnovabili. Si tratta di un documento che con ogni probabilità non sarà approvato completamente dal Congresso ma che, secondo alcuni osservatori interpellati dal Washington Post e che sono voluti rimanere anonimi «segnerà un punto di partenza per un negoziato al ribasso».
Dalla bozza dei documenti della Casa Bianca che è stata visionata dal Washington Post, l’intenzione sarebbe quella di ridurre del 72% i fondi destinati alle fonti pulite e al risparmio energetico. «Molti tagli saranno probabilmente ripristinati dal Congresso, ma il bilancio del presidente Trump segnerá un punto di partenza per i negoziati e offrirá una dichiarazione di intenti e prioritá politiche», ha osservato il quotidiano statunitense, secondo il quale la bozza di documento evidenzia l’attenzione del presidente statunitense sulle fonti fossili a scapito delle fonti rinnovabili.
L’amministrazione Trump, secondo Bloomberg, proporrá un taglio superiore al 70% per il bilancio, da 2,1 miliardi di dollari all’anno, dell’Ufficio per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili, che ha finanziato una serie di tecnologie a basso impatto ambientale. Si tratterà, se messo a punto, i un duro colpo all’industria delle rinnovabili a stelle e strisce che riporterà gli Stati Uniti ai tempi di Bush Jr. periodo nel quale i mancati finanziamenti riguardavano anche i laboratori di ricerca del Colorado, i Nrel.
Del resto Trump ha ribadito nel discorso recente sullo Stato dell’Unione che ha delle nette prefernze per il gas naturale e il “carbone pulito” e ha ribadito di aver chiuso la guerra contro il carbone. In verità le reali motivazioni della netta sterzata fossile di Trump risiedono in questioni di carattere finanziario e strategico. Da un lato la volontà circa la continuazione dell’utilizzo delle fonti fossili sta nella loro redditività immediata e nella non necessità di investimenti sul breve periodo, mentre sotto a un altro punto di vista questa dinamica deve essere letta anche sotto al profilo strategico delle esportazioni energetiche fossili che consentirebbero a Trump di presentarsi alle elezioni del mid term, nel novembre 2018, con delle prospettive incoraggianti circa l’aumento del Pil statunitense.
In questa chiave è ovvio che tutte le prospettive economiche sul medio-lungo periodo, come lo sviluppo delle rinnovabili, siano messe in secondo piano. Da non sottovalutare, inoltre, la concorrenza netta che le rinnovabili stanno facendo alle fossili, raggiungendo la grid parity e in alcuni casi andando oltre. A novembre 2017, in Messico, Enel ha vinto un’asta con una quotazione, la più bassa al mondo, per 1,77 centesimi di dollari per kWh. Negli Stati Uniti due anni prima eravamo a 4 centesimi di dollari per kWh. Ma ciò che deve aver dato filo da torcere a Trump deve essere l’asta cilena, nella quale sempre Enel ha vinto a 21,48 centesimi di dollari per kWh, contro i 3,6 offerti dall’industria del carbone che per la prima volta è stata sconfitta direttamente dal fotovoltaico. Chiaro quindi che Trump abbia voluto prima disfarsi dell’Accordo di Parigi e ora stia tagliando i fondi alle rinnovabili. Per difendere l’indifendibile: le fonti fossili.
Lascia un commento