Clima. È autunno e le foglie non cadono. Le piante, infatti, nonostante sia ottobre inoltrato non sono entrate nella fase di riposo vegetativo caratteristico della stagione a causa del caldo e ci sono ancora sia mosche, sia zanzare a testimoniare un autunno diverso le cui temperature sono ben al di sopra delle medie, in un 2018 che si classifica fino oggi come l’anno piú caldo dal 1800 in cui sono iniziate le rilevazioni con una temperatura, per l’Italia, superiore di 1,53 gradi centigradi rispetto alla media storica. L’obiettivo che secondo il report dell’Ipcc sul clima dovremmo raggiungere nel 2100.
Questo è ciò che emerge dall’analisi della Coldiretti in occasione della pausa dall’autunno che ha interessato tutta la penisola ad eccezione di Calabria e Sicilia Analisi che è basata sui dati Isac Cnr relativi ai primi nove mesi del clima dell’anno.
«E l’anomalia – sottolinea la Coldiretti – è stata ancora piú evidente a settembre che ha fatto registrare temperature superiori di ben 1,82 gradi e precipitazioni inferiori del 61% la media storica di riferimento (1971-2000). Ora le condizioni metereologiche quasi estive nel pieno dell’autunno, la cosiddetta ottobrata, non sono un fenomeno raro ma quest’anno si inseriscono in una quadro generale che conferma la tendenza al cambiamento climatico che si manifesta con la più elevata frequenza di eventi estremi con sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo».
Gli effetti, secondo Coldiretti, sono stati gelo, nubifragi, trombe d’aria, bombe d’acqua, grandinate e siccità che si sono succeduti colpendo a macchia di leopardo durante il 2018, in tutta Italia, provocando oltre 600 milioni di euro di danni alle coltivazioni. «A preoccupare in questa fase – conclude la Coldiretti – è l’eventuale brusco arrivo del maltempo con un forte abbassamento delle temperature che troverebbe le piante impreparate a difendersi con un conto ancora piú salato per le campagne».
E se questa è la situazione del clima in Italia, a livello mondiale l’agricoltura non sta meglio. La siccitá e le ondate di calore, infatti, stanno mettendo a dura prova le colture di orzo, il principale ingrediente della birra, e la situazione potrebbe peggiorare al punto da provocare un drastico calo della produzione, con una impennata dei prezzi. Questo è lo scenario, pubblicato sulla rivista Nature Plants, che nasce dai modelli elaborati in collaborazione fra Cina e Stati Uniti, dal gruppo dell’Universitá di Pechino guidato da Wei Xie e da quello dell’Universitá della California a Irvine coordinato da Steven Davis.
La ricerca è partita dalla osservazione che nei periodi di siccitá e calore estremi, la produzione di orzo si riduce di molto. Per avere i primi dati quantitativi circa questa sensibilitá delle colture di orzo al clima piú arido e caldo gli scienziati hanno elaborato un modello in grado di fornire scenari diversi in diverse situazioni climatiche. «Abbiamo visto – affermano – che questi eventi estremi possono causa una sostanziale riduzione della resa dell’orzo nel mondo». Una perdita che, il base al grado di siccitá e alle temperature varia tra il 3% e il 17%.
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