Prendiamone atto. Siamo la nazione dove si concentra circa il 50% del patrimonio artistico mondiale, abbiamo in assoluto la maggiore quantità di siti Unesco, ma non riusciamo a gestirli. La cronaca dei “disservizi” sui beni artistici e culturali è lunga e, alla fine, noiosa.
Colosseo chiuso durante l’alta stagione, crolli a Pompei, biblioteche e archivi inaccessibili, siti storici semiclandestini, musei chiusi da decenni, per, non parlare dei circuiti culturali non valorizzati – uno per tutti quello etrusco del nord del Lazio, insomma sarebbe una lista infinita.
E ogni volta che un mosaico perde un tassello, un affresco ammuffisce, o un muro di Pompei crolla ecco arrivare la litania dei “conservatori della storia” che si stracciano le vesti davanti alla cronaca, quando fino a poco tempo prima avevano girato la testa dall’altra parte di fronte a disastri annunciati. Abbiamo troppo, ma anche se fosse meno, forse, non sapremmo gestirlo.
E allora perché non affittare i nostri siti. Gli Uffizi e il Corridoio Vasariano, al Louvre, Pompei al British Museum, il Colosseo – dove si vogliono buttare a mare 25 milioni di euro solo perché arrivano da un privato – al Museo di Pergamo e così via. Un contratto d’affitto di 50 anni e via.
Nel frattempo potremmo dedicare le scarse risorse e la scarsa voglia che abbiamo alle opere “minori” – che poi minori non sono – e magari in un paio di generazioni avremo imparato, staccando il biglietto ad altri, ad apprezzare ciò che abbiamo. E se poi arriva anche una piramide di cristallo sul Colosseo tanto meglio. Un tocco di modernità a un paese imbalsamato fa solo bene.
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