5 maggio 2016. Non c’è notizia sul clima. Questa è la secca affermazione arrivata dal rapporto sull’informazione sui cambiamenti climatici, realizzato da Sam Dubberlay, co-fondatore di Eyewitness Media Hubper conto del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo(Ifad), e presentato in anteprima al Festival del Giornalismo di Perugia l’11 aprile scorso. È raro trovare un report così dettagliato sull’informazione ambientale e altrettanto strano che siano stati pochi i media ambientali italiani a riprenderne i contenuti, poiché il rapporto è stato presentato in Italia, paese nel quale la sensibilità dell’opinione pubblica sul clima è ai livelli più bassi. “La storia non detta: il cambiamento climatico non fa notizia”, questo il nome del report che ha analizzato la presenza dei cambiamenti climatici due mesi prima e dopo l’incontro di Parigi di Cop 21; i risultati sono sconcertanti. Le notizie sul cambiamento climatico sono state molto ridotte in termini di numeri dagli organi d’informazione in Europa e negli Stati Uniti prima e dopo la Cop21. Si è registrata una diminuzione delle notizie sulle conseguenze del cambiamento climatico nei due mesi successivi a Cop 21; i lettori desiderano che si dia più spazio ai problemi riguardanti i cambiamenti climatici e che ci sia informazione sulle possibili soluzioni e sul rapporto tra cambiamenti climatici e conflitti, migrazioni e insicurezza alimentare. Si direbbe che si sia perso un link tra quelle che sono le richieste dei lettori e le decisioni degli editori e dei giornalisti nel proporre le notizie. Notizie che di sicuro devono essere trattate diversamente, visto che sull’argomento dei cambiamenti climatici, come sui conflitti e sulle migrazioni, con ogni probabilità si è raggiunta la saturazione da parte dei lettori. «Milioni di lettori, ascoltatori e spettatori stanno voltando le spalle ai media tradizionali, e ho scoperto che una delle ragioni di questa crisi è che le persone sono stanche e nauseate dal quadro negativo del mondo che la stampa presenta loro. – ha affermato Ulrich Haagerup, direttore esecutivo dei notiziari della televisione pubblica danese -. La maggior parte dei servizi e degli articoli, nei media tradizionali, è incentrata su conflitti, drammi, malfattori e vittime». E la soluzione di ciò potrebbe essere, secondo la ricerca: «che gli organi d’informazione investano più tempo su quelle che sono le notizie costruttive». Cosa che non significa evitarle, ma avere un approccio diverso verso la notizia, più empatico, che dia voce ai testimoni inserendoli all’interno dei contesti, selezionando al contempo in maniera accurata, i dati utilizzati pochi, autorevoli e significativi, per non disorientare i lettori che oggi non sono inseriti in un flusso, come con i media stampati o televisivi, ma accedono a micro insiemi informativi dai quali possono entrare e uscire in una frazione di secondo. Tenere il lettore davanti allo schermo del computer o dello smartphone per informarlo in maniera efficace sui cambiamenti climatici e, più in generale, sulle notizie “difficili”. Questo dovrebbe essere il primo scopo dei giornalisti oggi, ma è un compito al quale la maggioranza dei professionisti non è preparata, e al quale non sono adatte le filiere informative. Produrre contenuti di questo tipo, infatti, è estremamente costoso perché si tratta di inventare tutti i processi da zero, mentre la filiera dei contenuti tradizionali è tarata per l’ottimizzazione produttiva delle “cattive notizie”.
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