Mezzo miliardo di euro. Questa è la cifra stanziata per il triennio 2024-2026 dal Mase per promuovere la ricerca e sviluppo delle tecnologie energetiche innovative necessarie alla decarbonizzazione. Bene si potrebbe dire, ma a un’analisi del comunicato, del dispositivo non c’è per ora traccia, ci si accorge che lo stanziamento potrebbe rappresentare un freno alle rinnovabili e anche alle politiche industriali legate alla decarbonizzazione.
«Il nostro impegno per sostenere la transizione energetica del Paese si rafforza ulteriormente con un consistente aumento di risorse pubbliche dedicate al sostegno della ricerca e dell’innovazione di tecnologie pulite per contenere le emissioni climalteranti. Andiamo avanti su questa strada con convinzione e pragmatismo per arrivare con ancora maggiore determinazione al negoziato della Cop 28 di Dubai», afferma il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Vediamo le misure. 182 milioni di euro sono assegnati a un mix composto da rinnovabili, tecnologie di rete elettriche e allo stoccaggio dell’energia e l’obiettivo è quello d’integrare le energie rinnovabili intermittenti (ed esistenti aggiungiamo noi), come l’eolico e il solare, nel mix di generazione, mantenendo i sistemi stessi economicamente efficienti, sicuri e resilienti. Tutto bene peccato che da questa descrizione si noti che non c’è nessun dispositivo circa la ricerca e sviluppo relative alle rinnovabili esistenti come l’aumento d’efficienza del fotovoltaico, le ricerche su nuovi materiali, oppure lo sviluppo di filiere eoliche innovative come l’off shore galleggiante. E dire che sul fronte dell’interdisciplinarità per la decarbonizzazione e le rinnovabili ce ne sarebbe da fare. Si pensi alla ricerca sulle specie vegetali agricole ottimizzate per l’agrivoltaico, oppure alla gestione del “demand and response” grazie ad algoritmi d’intelligenza artificiale che tengano conto delle microzone climatiche diverse delle quali l’Italia è ricca. Potrebbe trattarsi però di una delle classiche logiche all’italiana del guidare la nazione guardando nello specchietto retrovisore e non al futuro? No perché se si vedono gli altri provvedimenti si nota che al futuro l’Italia sembra guardare, ma è un domani fatto di cortine fumogene, per mascherare i decenni di consumi futuri fatti con le fossili, a scapito della decarbonizzazione.
Vettori molto futuri
Sono 118 i milioni di euro destinati all’idrogeno rinnovabile, per aumentarne la competitività economica e l’uso in sicurezza attraverso il sostegno alle attività di ricerca, sperimentazione e realizzazione di prototipi industriali. Sembra tutto in ordine ma non lo è. L’idrogeno rinnovabile, infatti, è un desiderio che non avrà seguito nel breve/medio periodo. Per un motivo semplice: allo stato attuale e nel prossimo decennio non avremo sufficienti rinnovabili per farlo questo idrogeno rinnovabile e il Governo va nella direzione opposta a uno sviluppo massiccio delle rinnovabili mature, fotovoltaico biogas ed eolico, come emerge chiaramente dalla bozza del decreto Aree Idonee nella quale troviamo decine di paletti alle rinnovabili. L’idrogeno, ammesso che si trovino una serie di soluzioni tecniche sarà, forse, un vettore d’accumulo, oltretutto a bassa efficienza complessiva e con uno scarso contributo alla decarbonizzazione, tra una decina d’anni e con una filiera, industriale e distributiva a oggi tutta da costruire.
Nucleare fumogeno
Il top della cortina fumogena, e a questo punto oserei dire mediatica, è rappresentato dai 135 milioni di euro dedicati al settore nucleare, per il quale si prevede la realizzazione di attività di ricerca e sperimentazione sui piccoli reattori modulari di terza e quarta generazione (cosa significhi nel dettaglio ciò lo sanno solo al Mase) nel breve-medio periodo e sulle tecnologie di fusione per il lungo periodo. Ma il bello arriva dal fatto che «una quota delle risorse sarà utilizzata specificatamente per attività di formazione, con l’obiettivo di rafforzare le competenze professionali, tecniche e specialistiche in questo settore», si legge nel comunicato del ministero. Voler ricostruire professionalità sull’energia atomica quando non possediamo più una filiera industriale specifica e le imprese italiane, se va bene, lavorano sul nucleare come subappaltatori di componentistica marginale e non critica, con queste cifre è una vera e propria cortina fumogena. Un ulteriore tentativo di rallentare le rinnovabili. Ci sono, poi, 36 milioni di progetti trasversali su materie prime critiche, materiali avanzati, elettrolizzatori, bioidrogeno, biocarburanti e integrazioni con le reti che servono come appunto affinché si possa dire sono stati coperti tutti i settori, mentre 11 milioni di euro «andranno ai progetti internazionali finalizzati a garantire la cooperazione industriale e la collaborazione con le principali istituzioni del settore energetico».
Il clima non aspetta
Insomma mezzo miliardo usato per rallentare le fonti rinnovabili mature di alcuni decenni, come è richiesto dalle aziende energetiche nazionali e internazionali, quando il clima sta già presentando il conto. Il 17 novembre 2023, infatti, l’aumento di temperatura in tutto il Pianeta è stato di 2.08 °C (fonte Copernicus) e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha raggiunto le 422 parti per milione (ppm), con un più 4,81 ppm in un anno (fonte NOAA). Del resto i consumi elettrici italiani (fonte Terna) sono cresciuti a ottobre 2023 del 4,2% rispetto a ottobre 2022 del quale il 64,4% è stato prodotto da fonti fossili. In pratica il 2,7% dell’aumento dei consumi elettrici solo fossili emette 336 mila tonnellate di CO2 all’anno in più (calcolo nostro su dai Ispra/Terna). Un ottimo biglietto da visita per la COP 28 che si svolgerà tra pochi giorni. Nel regno delle fonti fossili per eccellenza che sono gli Emirati Arabi. La decarbonizzazione può attendere.
*direttore di Nextville
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