Desertificazione, clima, rinnovabili e l’egoismo generazionale

La chiusura sulle rinnovabili è l'anticamera della desertificazione ed è una scelta d'egoismo verso le generazioni future

desertificazione
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Su clima e la conseguente desertificazione, in Italia c’è una scarsa attenzione. E ciò nonostante il fatto che ogni anno ci si trova di fronte ad appuntamenti, spesso considerati e non a torto rituali, come quelli delle varie Cop che sono considerati dalla maggioranza degli esperti ambientali, appuntamenti “cruciali” nel quale si decidono, forse, i destini delle prossime generazioni, per le quali definiremo se l’aumento di temperatura al 2100 possa essere di “soli” 2°C – quest’anno la soglia si è abbassata a 1,5°C alla ultima COP 24 di Katowice – oppure maggiore. Eppure i segnali netti circa il fatto che l’effetto serra dovrebbe interessare anche noi italiani ci sono.

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Desertificazione ecco i dati

Il Cnr, per esempio, ha diffuso di recente i dati sulla desertificazione che dovrebbero destare almeno un filo d’attenzione. La siccità, infatti, già oggi colpisce il 41% della superficie terrestre nella quale vivono due miliardi di persone e il 72% delle terre aride sono in Paesi in via di sviluppo.

E fin qui “nulla di nuovo” visto che da tempo si afferma il fatto che i cambiamenti climatici colpiranno con maggiore intensità i paesi più poveri, provocando ondate migratorie alle quali siamo ampiamente impreparati, ma ci sono anche dati che riguardano l’Italia.

Secondo le analisi del Cnr, infatti, è a rischio desertificazione ben il 21% del territorio italiano, il 41% del quale è localizzato nel Sud del Paese.

«Sono numeri impressionanti che raccontano di un problema drammatico di cui si parla pochissimo», dice Mauro Centritto, direttore dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche. E l’analisi regione per regione lascia sconcertati.

Sarà interessato dalla desertificazione, durante questo secolo, il 70% del territorio siciliano, il 57% di quello pugliese, il 58% del Molise e il 55% della Basilicata, mentre Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania hanno una percentuale che oscilla “solo” tra il 30 e il 50%.

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Temperature in aumento

E oltre a ciò ci sono le previsioni sulla temperatura che non lasciano grandi dubbi. «Entro la fine di questo secolo le previsioni parlano, per il bacino del Mediterraneo, di aumenti delle temperature tra 4 e 6 gradi e di una significativa riduzione delle precipitazioni, soprattutto estive: l’unione di questi due fattori genererà, quindi, una forte aridità.

«Paradossalmente, mentre per mitigare i cambiamenti climatici sarebbe sufficiente cambiare in tempo la nostra politica energetica, per arrestare la desertificazione questo non sarà sufficiente, poiché il fenomeno è legato anche alla cattiva gestione del territorio. – prosegue Centritto – Le conseguenze di quest’inadeguata gestione sono sintetizzate nell’espressione inglese Dust bowlification, da dust, polvere, e bowl, conca. È un concetto differente dalla desertificazione, giacché anche i più estremi deserti sono comunque degli ecosistemi (le aree aride includono il 20% dei centri di biodiversità e il 30% dell’avifauna endemica), mentre le conche di polvere sono un punto di non ritorno».

E una conferma di ciò è arrivata da Ispra che ha registrato le serie storiche recenti sulle temperature italiane dalle quali si evince che la tendenza all’aumento di temperatura non è lenta, ma ha velocità da gran premio.

Dal 1961 a oggi, infatti, la temperatura media italiana è aumentata di 1,57 °C con il nord che tocca i più 1,93 °C, ossia ha già esaurito l’aumento previsto dagli scenari ottimistici al 2100. Con oltre 80 anni in anticipo.

Ma c’è di più. Ispra, infatti, ha messo a punto alcuni modelli climatici che hanno tracciato gli scenari circa le tendenze future. Per la fine del prossimo secolo, Ispra, prevede un aumento della temperatura media in Italia compreso tra 1.8 e 3.1 °C nello scenario più ottimistico e tra 3.5 e 5.4 °C in quello pessimistico, con picchi estivi tra i 2.5 e i 3.6 °C nel primo scenario e tra 4.2 e 7.0 °C in quello più pessimistico.

Si tratta di analisi che dovrebbero far riflettere sotto al profilo complessivo chi, ancora oggi, e specialmente nelle regioni più a rischio, si oppone alle rinnovabili, anche di grande taglia.

E specialmente sulla contrapposizione tra etica, verso le generazioni future, ed estetica che è fruita dalle generazioni di oggi. Ossia come all’etica verso le generazioni future, per una vita dignitosa e di qualità si contrapponga l’estetica dell’immanente, dell’oggi, della conservazione del “bello” odierno a discapito del “vivibile” del domani.

Generazioni in conflitto

In questa chiave estetica si può leggere l’opposizione all’eolico e al fotovoltaico, come “attentatori del paesaggio”, con un’aggravante generazionale. A opporsi di più alle rinnovabili è la generazione di coloro che hanno vissuto gran parte della propria vita in un’abbondanza energetica a basso costo ed emettendo CO2 senza freni.

Il tutto senza tener conto del fatto che le rinnovabili emettono una frazione minima di gas climalteranti, ragione per la quale sono un’arma vera contro i cambiamenti climatici, ancora più dell’efficienza energetica visto che senza le fonti rinnovabili la quota “residua” d’energia necessaria andrebbe prodotta con le fossili o con il nucleare.

Ed è indicativo come la perdita della percezione del contesto più generale spinga proprio le regioni più a rischio di desertificazione a bloccare le rinnovabili, cosa estremamente significativa e che dimostra come l’utilizzo di categorie non aggiornate come quella estetica della “difesa del bello del paesaggio” produca danni.

E si tratta di un atto di egoismo generazionale. Tralasciando la discussione sulla “bruttezza” d’impianti eolici e fotovoltaici bisogna dire che la “ragione estetica” del presente in nome di una visione di breve periodo sta “condannando” le future generazioni a una “bruttezza” non solo estetica, ma anche funzionale, sociale e di vita non reversibile, al contrario di pale e pannelli che lo sono.

La desertificazione indotta dai cambiamenti climatici, infatti, offenderà sia l’estetica, sia le condizioni di vita materiali, abbassando la capacità reddituale dei territori del Sud Italia e innescando muovi fenomeni di migrazione forzata, ancora più massicci di quelli che già ora coinvolgono i giovani meridionali.

Vale la pena ribadire, infine, che spesso gli alfieri della difesa del paesaggio dalle rinnovabili appartengono alla generazione che ha usufruito di un’intensità energetica a basso prezzo e ad alta intensità di carbonio, senza pari nella storia dell’umanità e i cui effetti si stanno manifestando ora, con i cambiamenti climatici.


 

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