29 aprile 2016. Sergio Ferraris giornalista scientifico professionista. Direttore della rivista Quale Energia, scrive sulla rivista La Nuova Ecologia per le quali si occupa di tematiche ambientali ed energetiche. Ha lavorato per Rai Educational come autore di documentari scientifico-ambientali ed ha realizzato l’unico documentario italiano sul Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg del 2002. Dal 2012 è responsabile per la rivista Tekneco della sezione “rinnovabili”.
I suoi servizi giornalistici e fotografici sono stati pubblicati su L’espresso, Panorama, Epoca, Famiglia Cristiana, Gambero Rosso, Stern, El Pais, La Repubblica, il manifesto, Diario, Fotografare e altri. E’ formatore presso l’ordine dei giornalisti ed è stato anche relatore presso diversi Master post laurea all’Università di Roma “La Sapienza”. E’ tra i fondatori della Federazione Italiana Media Ambientali e lo scorso anno è stato premiato come migliore “Reporter per la Terra” dal Ministero dell’Ambiente. L’abbiamo incontrato e ve lo presentiamo per scoprire come prepararsi al meglio per diventare un giornalista professionista.
Quando sono nati il tuo interesse per l’informazione e la consapevolezza di intraprendere la carriera di giornalista?
L’ho sempre avuta. Fin da 19 anni. La mia carriera giornalistica però è divisa in due. Nei primi quindici anni ho fatto il fotogiornalista, erano gli anni ’80, successivamente in seguito a un incidente che ha parzialmente ridotto la mia mobilità sono diventato giornalista, usando sia la parola, sia il video. Sempre e comunque su tematiche ambientali e sociali. Oggi mi sono anche riavvicinato alla fotografia perché le nuove tecnologie indicano una netta convergenza e un’integrazione tra testi, video e immagini.
L’ho sempre avuta. Fin da 19 anni. La mia carriera giornalistica però è divisa in due. Nei primi quindici anni ho fatto il fotogiornalista, erano gli anni ’80, successivamente in seguito a un incidente che ha parzialmente ridotto la mia mobilità sono diventato giornalista, usando sia la parola, sia il video. Sempre e comunque su tematiche ambientali e sociali. Oggi mi sono anche riavvicinato alla fotografia perché le nuove tecnologie indicano una netta convergenza e un’integrazione tra testi, video e immagini.
Ci racconti gli step scolastici e di formazione che hai affrontato per esercitare questa professione?
Non ho mai cercato un’istruzione specifica per fare il fotogiornalista e il giornalista. Ho un’istruzione di carattere scientifico, ho frequentato il liceo scientifico e tre anni di fisica all’università, a quali ho aggiunto quattro anni di sociologia, senza terminare gli studi, come capita spesso a chi lavora da giovane. Devo dire però che il mix di studi scientifici e umanistici mi aiuta molto a capire la sempre maggiore complessità dell’esistente e a spiegarla ai lettori. Per non parlare della comprensione delle nuove tecnologie applicate alla professione.
Non ho mai cercato un’istruzione specifica per fare il fotogiornalista e il giornalista. Ho un’istruzione di carattere scientifico, ho frequentato il liceo scientifico e tre anni di fisica all’università, a quali ho aggiunto quattro anni di sociologia, senza terminare gli studi, come capita spesso a chi lavora da giovane. Devo dire però che il mix di studi scientifici e umanistici mi aiuta molto a capire la sempre maggiore complessità dell’esistente e a spiegarla ai lettori. Per non parlare della comprensione delle nuove tecnologie applicate alla professione.
Ti occupi di formazione presso l’Ordine dei giornalisti, quale consiglio daresti ad un giovane che vuole intraprendere questa carriera?
Per quanto riguarda il giornalismo non credo nelle scuole di giornalismo, ma nell’autoapprendimento. Se si ha del denaro oggi è meglio, molto meglio, comprarsi una vagonata di libri e pagarsi uno stage all’estero, presso una struttura giornalistica, possibilmente in paese anglosassone per possedere meglio la lingua inglese che apre a un mercato di 1,5 miliardi di lettori. Certo bisogna avere una forte volontà per fare ciò, ma bisogna considerare il fatto che la forza di volontà è una delle cose che non si può avere attraverso un corso. Se non si ha abbastanza denaro, invece, si studi comunque l’inglese e ci si documenti sulle nuove tecnologie, media, metodologie giornali tramite il web e poi si vada ai festival di giornalismo di Perugia e Ferrara, anche in tenda e con il sacco a pelo, per sentire dal vivo e parlare con chi fa sul serio innovazione nel settore dell’informazione.
Per quanto riguarda il giornalismo non credo nelle scuole di giornalismo, ma nell’autoapprendimento. Se si ha del denaro oggi è meglio, molto meglio, comprarsi una vagonata di libri e pagarsi uno stage all’estero, presso una struttura giornalistica, possibilmente in paese anglosassone per possedere meglio la lingua inglese che apre a un mercato di 1,5 miliardi di lettori. Certo bisogna avere una forte volontà per fare ciò, ma bisogna considerare il fatto che la forza di volontà è una delle cose che non si può avere attraverso un corso. Se non si ha abbastanza denaro, invece, si studi comunque l’inglese e ci si documenti sulle nuove tecnologie, media, metodologie giornali tramite il web e poi si vada ai festival di giornalismo di Perugia e Ferrara, anche in tenda e con il sacco a pelo, per sentire dal vivo e parlare con chi fa sul serio innovazione nel settore dell’informazione.
Quali sono le attitudini personali che un giornalista, secondo te, deve possedere per esercitare la professione?
L’umiltà e la durezza. Umiltà verso chi si incontra durante il lavoro giornalistico e verso i lettori, alla quale va aggiunta una durezza, un’essenzialità verso tutti, nessuno escluso. Oggi il giornalista è un target da influenzare per i comunicatori, siano quelli delle grandi aziende siano quelli dei movimenti alternativi. Il giornalista deve essere umile verso gli eventi, che sono sempre più complessi e per affrontare i quali bisogna partire dalla consapevolezza della propria ignoranza, e molto duro verso i protagonisti. I referenti del giornalista sono i lettori, nessun altro. E sia chiaro con ciò non voglio dire che bisogna dare loro “gattini” e “celebrità nude” perché questo è ciò che ci chiedono. È il contrario. Siamo noi che abituiamo i lettori a ciò, non proponendogli altro. E poi dico a chi si affaccia a questa professione: “Non nasciate vecchi”. Incontro spesso giovani che vogliono fare i giornalisti e che ambiscono a entrare in una redazione, non si pongono problemi di mercato, ragionano solo sull’articolo che devono realizzare, pensano che la carta stampata sia meglio del web e così via. Mi sembrano i giornalisti che incontravo nelle redazioni nei primi anno ’80 quando giravo con la valigetta per vendere le mie fotografie in bianco e nero stampate da me. Con questa logica si rimarrà disoccupati ancora prima di cominciare. Il mondo del giornalismo gira esattamente dall’altra parte.La comunicazione è in una fase di totale trasformazione. Il web ha accelerato la circolazione dei messaggi. Il lettore non si accontenta di guardare solo la pubblicità ma si informa sui social network, diventa egli stesso opinion leader e produttore di informazione. Quali sono, secondo te, le aree di attività a cui un aspirante giornalista deve guardare in prospettiva per specializzarsi e avere maggiori possibilità di impiego?
Il giornalista oggi si deve chiedere: io produco valore con il mio lavoro? E per chi? E sia chiaro che non mi riferisco solo al valore economico che interessa a un editore, ma anche a quello intangibile, sul fronte monetario, che interessa il lettore. Il lettore oggi anche se legge “gratis” sul web crea valore leggendo e scegliendo l’articolo, un valore che Google e Facebook sono bravi a monetizzare. Ecco che allora il giornalista oggi deve porsi questo problema in prima persona, non può demandare, come si era sempre fatto prima, l’aspetto della produzione industriale dell’informazione all’editore che è una figura in difficoltà e in declino. Il giornalista è al vertice della catena dell’informazione deve capire, adeguandosi, le mutazioni del suo stesso lavoro, con la consapevolezza che, se è capace e innova, sarà al vertice della catena dell’informazione. Servirà sempre qualcuno che realizza contenuti. Per quanto riguarda le specializzazioni dico che secondo me non bisogna sceglierle in base a ciò che ci piace. Si tratta di un errore enorme. Se si vuole lavorare si deve scegliere un settore che abbia un mercato, ossia che interessi i lettori e non il giornalista che scrive. Fare la scelta di occuparsi di ciò che ci piace tradisce prima di tutto una grande pigrizia intellettuale che è una caratteristica fortemente negativa per chi vuole fare il giornalista, e inoltre spesso è una scelta che è frutto del voler “entrare in un mondo” attraverso il grimaldello del giornalismo. Niente di più sbagliato. Il giornalista deve essere autonomo, libero e indipendente e se ambisce ad “appartenere a un mondo” come quello della politica, della moda, e così via, allora dipenderà da quel mondo e farà magari carriera, di sicuro non per merito, ma sarà sempre e comunque un pessimo giornalista. Per i lettori. E oggi i lettori attraverso internet queste cose le dicono chiare e forti. Il tempo della pagina delle lettere dei lettori è finito. E non tornerà.
L’umiltà e la durezza. Umiltà verso chi si incontra durante il lavoro giornalistico e verso i lettori, alla quale va aggiunta una durezza, un’essenzialità verso tutti, nessuno escluso. Oggi il giornalista è un target da influenzare per i comunicatori, siano quelli delle grandi aziende siano quelli dei movimenti alternativi. Il giornalista deve essere umile verso gli eventi, che sono sempre più complessi e per affrontare i quali bisogna partire dalla consapevolezza della propria ignoranza, e molto duro verso i protagonisti. I referenti del giornalista sono i lettori, nessun altro. E sia chiaro con ciò non voglio dire che bisogna dare loro “gattini” e “celebrità nude” perché questo è ciò che ci chiedono. È il contrario. Siamo noi che abituiamo i lettori a ciò, non proponendogli altro. E poi dico a chi si affaccia a questa professione: “Non nasciate vecchi”. Incontro spesso giovani che vogliono fare i giornalisti e che ambiscono a entrare in una redazione, non si pongono problemi di mercato, ragionano solo sull’articolo che devono realizzare, pensano che la carta stampata sia meglio del web e così via. Mi sembrano i giornalisti che incontravo nelle redazioni nei primi anno ’80 quando giravo con la valigetta per vendere le mie fotografie in bianco e nero stampate da me. Con questa logica si rimarrà disoccupati ancora prima di cominciare. Il mondo del giornalismo gira esattamente dall’altra parte.La comunicazione è in una fase di totale trasformazione. Il web ha accelerato la circolazione dei messaggi. Il lettore non si accontenta di guardare solo la pubblicità ma si informa sui social network, diventa egli stesso opinion leader e produttore di informazione. Quali sono, secondo te, le aree di attività a cui un aspirante giornalista deve guardare in prospettiva per specializzarsi e avere maggiori possibilità di impiego?
Il giornalista oggi si deve chiedere: io produco valore con il mio lavoro? E per chi? E sia chiaro che non mi riferisco solo al valore economico che interessa a un editore, ma anche a quello intangibile, sul fronte monetario, che interessa il lettore. Il lettore oggi anche se legge “gratis” sul web crea valore leggendo e scegliendo l’articolo, un valore che Google e Facebook sono bravi a monetizzare. Ecco che allora il giornalista oggi deve porsi questo problema in prima persona, non può demandare, come si era sempre fatto prima, l’aspetto della produzione industriale dell’informazione all’editore che è una figura in difficoltà e in declino. Il giornalista è al vertice della catena dell’informazione deve capire, adeguandosi, le mutazioni del suo stesso lavoro, con la consapevolezza che, se è capace e innova, sarà al vertice della catena dell’informazione. Servirà sempre qualcuno che realizza contenuti. Per quanto riguarda le specializzazioni dico che secondo me non bisogna sceglierle in base a ciò che ci piace. Si tratta di un errore enorme. Se si vuole lavorare si deve scegliere un settore che abbia un mercato, ossia che interessi i lettori e non il giornalista che scrive. Fare la scelta di occuparsi di ciò che ci piace tradisce prima di tutto una grande pigrizia intellettuale che è una caratteristica fortemente negativa per chi vuole fare il giornalista, e inoltre spesso è una scelta che è frutto del voler “entrare in un mondo” attraverso il grimaldello del giornalismo. Niente di più sbagliato. Il giornalista deve essere autonomo, libero e indipendente e se ambisce ad “appartenere a un mondo” come quello della politica, della moda, e così via, allora dipenderà da quel mondo e farà magari carriera, di sicuro non per merito, ma sarà sempre e comunque un pessimo giornalista. Per i lettori. E oggi i lettori attraverso internet queste cose le dicono chiare e forti. Il tempo della pagina delle lettere dei lettori è finito. E non tornerà.
Intervista di Alessandra Montana pubblicata sul portale Educaweb
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