Chi pensa che la foresta amazzonica sia un paradiso intatto e incontaminato dovrà ricredersi. Del più importante polmone della Terra, infatti, ne'intatto resta solo poco più della metà. È questo il clamoroso risultato di uno studio satellitare brasiliano condotto sull'occupazione umana del territorio amazzonico, che va ben al di là dei già preoccupanti dati annunciati di recente sul disboscamento. Di foresta nativa vera e propria ne rimane solo il 46,5 % a cui va aggiunto circa un 5% di vegetazione originale non forestale. Il resto, circa un 47 % è già stato occupato dall' uomo ed è prossimo alla irreversibilità.
I risultati ufficiali di questa ricerca firmata dall'Istituto Brasiliano dell'Ambiente e dell'Uomo dell'Amazzonia (Imazon) sono stati annunciati in una conferenza stampa. Gli uomini e le sue strade, sono indicati come il fattore di maggior rischio per il futuro dell'Amazzonia e hanno già invaso la metà dei 4,1 milioni di chilometri quadrati del bacino idrografico amazzonico brasiliano che è percorso da oltre 1300 fiumi.
Non solo disboscamento
"Il problema dell'Amazzonia va ben al di là della frontiera del disboscamento. - ha spiegato Carlos Souza, dell'Imazon - Esiste infatti una zona di transizione già occupata dall'uomo che è quella a maggior rischio di attacco ambientale. Quest' area, quattro volte più estesa dell'altra, sta incominciando ad essere degradata. Per essa passano strade e le sue risorse forestali incominciano ad essere sfruttate in maniera non sostenibile".
Negli ultimi 30 anni il 10 % della foresta e' andato in fumo o è stato abbattuto dall'uomo. La costruzione di strade, la penetrazione di imprese per lo sfruttamento del legname, gli scavi minerari e l'occupazione selvaggia attorno ai centri principali, che si estende sempre per un raggio di almeno 20 chilometri intorno, sono gli elementi che stanno marcando il passaggio dell'uomo in un altro 37 % della regione.
Secondo i ricercatori brasiliani è questo il dato veramente preoccupante sul rischio globale amazzonico. Un'informazione che rende ancora più tragica la prospettiva di un'impennata della distruzione nel 2004 che la politica di potenziamento dell' agrobusiness può portare a punte del più 500 % nel Parà' e nel Mato Grosso che sono gli stati amazzonici più toccati dalla devastazione. Si potrebbe addirittura superare quest' anno il record dei 28 mila chilometri quadrati di foresta persa, raggiunto nel 1994.
Ancora di salvataggio
La ministro brasiliano per l'Ambiente, Marina Silva ha tentato di fermare il disastro creando a sorpresa alcune aree di protezione totale proprio in mezzo al Parà, dove maggiore e' l'offensiva di "fazendeiros" (proprietari agricoli e allevatori), contadini "sem terra" e delle infrastrutture pubbliche come dighe e strade, contro la maggiore area verde mondiale. Ma il suo ministero, povero di fondi, deve vedersela con la tendenza diametralmente opposta del ministro dell'agricoltura Roberto Rodrigues, forte dei risultati di eccellenza raggiunti negli ultimi mesi dall'agricoltura brasiliana (primati in soia, granturco, caffe', succo d'arancia e carne).
Spauracchio numero uno dell'occupazione umana dell'Amazzonia sembrano essere, per l'Imazon, le strade, in gran parte piste di terra battuta, che si estendono nella regione per una lunghezza di oltre 23mila chilometri, raggiungendo le riserve indigene come quella dei Kayapò, nella riserva Baù. Lungo la transamazzonica che unisce la capitale del Mato Grosso, Cuiabà, al porto di Santarem sul Rio delle Amazzoni (circa 2500 chilometri), si sta diffondendo a macchia d'olio la coltivazione della soia, grazie anche ai nuovi terminal portuali che il governatore del Mato Grosso, Blairo Maggi, ha creato su vari fiumi amazzonici.
I fuochi di calore, che a livello satellitare denunciano gli incendi boschivi appiccati dall'uomo per farsi strada con queste coltivazioni, hanno coperto del 1996 al 2000 in media il 22 % dell'intero territorio amazzonico. E per la prima volta una piantagione su larga scala, come quella della soia, è arrivata sulle sponde del Rio delle Amazzoni.
Sergio Ferraris
L'articolo è stato pubblicato sul sito di Greencross Italia |