Alcune volte bisogna fare qualche cosa. Non si può rimanere indifferenti, nonostante si viva in un Paese, l’Italia, dove sembra che ci si abitui a tutto a al contrario di tutto, a virtù e nefandezze della nostra gente, dei nostri politici dei nostri industriali. Di tutti noi che troppo spesso sembriamo prigionieri della frase pronunciata nel Gattopardo “che qualcosa cambi perché nulla cambi”. Ogni tanto una piccola alzata di testa, un segno anche piccolo è importante, così come è importante il ricordo, la memoria, l’unica vera immortalità laica che possediamo: ricordare ed essere ricordati. Alcune volte bisogna dare un segno. Non si può rimanere indifferenti a tutto, alle stragi quotidiane in Iraq, alle mille guerre civili sparse nel Globo, ai mille attentati striscianti verso i diritti – grandi e piccoli – e verso l’ambiente.
Alcune volte c’è bisogno di un simbolo. Perché i simboli sono potenti e possono smuovere le montagne, perché i simboli fanno sognare e il sogno, dopo tutto è la molla del futuro e non possiamo fare a meno della speranza del futuro.
Alcune volte c’è bisogno di una persona. Una di queste era Anna Politkovskaja, famosa per le proprie inchieste in Cecenia, ma grande giornalista, non per quelle, ma per la sensibilità diffusa e sempre presente nei suoi articoli.
La maniera migliore per conoscere un giornalista è leggere qualcosa di suo che non tratti di un grande evento, di una rivoluzione o di una catastrofe. È nella descrizione delle piccole cose che si può osservare la capacità di toccare il cuore di chi legge, di comunicare, di emozionare e di informare oltre la cronaca. Per dirla con Enzo Biagi: “chiunque è in grado di scrivere dieci pagine sul caos dell’universo, ma per produrre tre buone righe su un rubinetto che gocciola bisogna essere dei grandi giornalisti”. Anna Politkovskaja era una giornalista in grado di scriverle queste tre buone righe e forse il modo migliore per ricordarla è proprio quello di leggere, e di ricordare l’articolo che ha scritto sul proprio cane. Un pezzo a mio giudizio di grande giornalismo. Lo trovate a questo link sul sito di Internazionale.
Sergio Ferraris
|