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L'AUTO DI TUTTI |
La condivisione dell’auto potrebbe essere una delle soluzioni al problema mobilità nelle grandi città. Le tecnologie ci sono basta volerle applicare |
La resistenza è grande. Fare il salto dal mito dell’autonomia, del viaggio individuale che per molti rappresenta una vera e propria idea di libertà, liberandosi per sempre dell’automobile significa, spesso, il vero e proprio cambio di un paradigma culturale. Lasciare un mezzo di trasporto come l’automobile, che non è più un mero strumento ma un sistema complesso nel quale si intrecciano tecnologie, fattori psicologici e valori, mutare il proprio approccio culturale verso la mobilità.
L’idea di potersi spostare in piena autonomia con la propria auto è oggi ancora molto radicata nonostante il fatto che la velocità media, anche in città di medie dimensioni, non superi i venti chilometri orari e l’auto privata sia utilizzata in media un’ora al giorno. La risposta che tenta di mediare l’esigenza collettiva di avere città meno congestionate e meno inquinate con quella individuale della libertà di movimento è il car sharing. Il sistema è quello nel quale una serie di persone, riunite in un’associazione, accedono a una flotta di veicoli presente sul territorio pagando solo per l’effettivo utilizzo del mezzo che al contrario del normale autonoleggio è a tariffazione oraria. Il car sharing ha degli indubbi vantaggi ambientali ma non è la panacea dei mali che affliggono la mobilità delle metropoli sia quelle europee, inadatte all’uso massiccio delle auto, sia nordamericane che nonostante siano spesso concepite per l’utilizzo delle auto iniziano ad avere evidenti problemi. Negli Stati Uniti e nel Canada, infatti, all’inizio del 2005 erano oltre 70 mila gli iscritti a un servizio di car sharing, pochi se si pensa che sono solo lo 0,03 per cento dei possessori di patente, parecchi se si considera che questa cifra sostituisce ben 350 mila autovetture private. Comunque sia in Europa, sia nel nordamerica il car sharing è un fenomeno di nicchia che però sta producendo un significativo cambiamento nella cultura della mobilità.
Sviluppi evidenti
Il car sharing ha dei significativi vantaggi sia sul fronte sociale, sia sotto al profilo ambientale.Parecchi studi hanno rilevato che l’utente di car sharing spesso rinuncia alla seconda o terza auto presente nel nucleo familiare, con dei benefici sia sul fronte dell’impronta ecologica – quella del bene auto – e sulla congestione urbana che diminuisce per una maggiore disponibilità di parcheggi. È stato rilevato, inoltre, che l’utilizzo del car sharing cambia l’economia della guida attraverso la conversione del costo fisso in una tariffa a utilizzo e ciò diminuisce gli “sprechi” dovuti a viaggi individuali e male organizzati. Il car sharing, in pratica, rappresenta un incentivo a viaggiare meno ma meglio, tagliando gli utilizzi non necessari, come quello delle auto all’interno dello stesso quartiere. Da non sottovalutare, inoltre, l’aspetto legato ai tragitti compiuti per recarsi al posto di lavoro, nei quali l’unione del car sharing al car pooling – l’utilizzo condiviso e a pieno carico dell’autovettura – può amplificare i benefici di entrambi i sistemi. Sul lungo periodo l’aumento dell’utilizzo del car sharing potrebbe portare a un miglioramento del disegno dei quartieri che con una minore pressione delle auto possono diventare più compatti, facilitando gli spostamenti e la convivenza tra i cittadini. Prova ne è il fatto che in alcuni nuovi quartieri delle città, sia europee, sia statunitensi, i parcheggi per il car sharing sono presenti fin dalla progettazione. Sul fronte ambientale si registra una diminuzione delle emissioni dovuta ai minori spostamenti, ma anche per l’utilizzo di veicoli più recenti e migliori sul fronte dell’efficienza, come quelli ibridi. Da non sottovalutare, inoltre, il minor consumo energetico dei veicoli circolanti, dovuto alla fluidificazione del traffico urbano che diventa meno congestionato.
In crescita
Negli Stati Uniti il fenomeno inizia a uscire dalla nicchia culturale nel quale era confinato e sta polarizzando le attenzioni del mondo della finanza. Uno dei fondatori di America On Line, Stephen Case ha comprato una delle principali aziende di car sharing, la Flexcar , imbarcando nell’impresa personaggi del calibro di Lee Iacocca, ex numero uno dei General Motors e Joseph Vittoria, ex presidente esecutivo della catena di autonoleggio Avis. La principale concorrente di Flexcar, ZipCar ha recentemente ottenuto un finanziamento di dieci milioni di dollari da un azienda di venture capital della Silicon Valley e dichiara di avere 50 mila membri serviti da una flotta di 900 auto in quattro città. Certo le cifre del car sharing a stelle e strisce sono ancora distanti da quelle dichiarate dall’autonoleggio tradizionale. Il giro d’affari di questo comparto negli Usa è di quindici miliardi di dollari, mentre il fatturato dichiarato di ZipCar è di quindici milioni di dollari. Nessuna dichiarazione da parte di Flexcar, che non rende noto il fatturato, ma punta a raggiungere il milione di membri entro il 2010. «La nostra compagnia è come una giovane America On Line – ha dichiarato Stephen Case – e il nostro business plan non è focalizzato sul profitto a breve periodo».
Sicurezza in Europa
In Europa, dove il car sharing è nato, il fenomeno conta circa 100 mila associati con una flotta di oltre 4 mila auto. Solo in Germania le aziende che se ne occupano sono 70 e coprono 250 città. In una realtà come questa si incomincia a sperimentare l’applicazione delle nuove tecnologie nella logistica e nella gestione del servizio. I problemi che si devono affrontare da questo punto di vista sono due: l’aumento della flessibilità dal lato utente e la sicurezza dei mezzi utilizzati. Da una parte si tenta di migliorare la dinamicità del sistema attraverso la facilitazione dell’uso del mezzo, dall’altro è necessario garantire la sicurezza dei mezzi durante la sosta. L’adozione di un sistema self service nella consegna dell’auto aumenta le potenzialità del sistema e riduce i costi del servizio, ma espone i mezzi al rischio furto. La più grande azienda di car sharing d’Europa, la svizzera Mobility si accorse del problema nel 1999 quando in una sola notte furono rubate dieci auto. La compagnia aveva pensato di risolvere il collo di bottiglia rappresentato dalla consegna dell’auto in maniera tradizionale, ossia con la firma del modulo e la consegna delle chiavi, assegnando a ogni membro una chiave che apriva un contenitore, posto nei pressi del parcheggio, con le chiavi di avviamento delle singole auto. In linea di massima il sistema funzionò, ma nulla impediva che le persone aprissero il contenitore e consegnassero le chiavi a estranei, oppure prelevassero un’auto senza prenotare e, quindi, pagare.
In rete
Oggi questi problemi possono essere superati grazie all’utilizzo di tecnologie come gli Sms e i le etichette intelligenti chiamate Rfid. La combinazione dei due sistemi permette una gestione agevole del servizio dal lato utente e un buon controllo del veicolo. Mobility da quando li ha adottati non ha più subito furti. Con questo sistema ogni membro riceve una card con un Rfid che contiene i dati personali. Quando il membro effettua una prenotazione, via telefono o tramite Internet, il computer principale invia, con un Sms l’autorizzazione al computer presente a bordo dell’auto che a sua volta permette l’accesso al veicolo solo al possessore della card con il Rfid. Il sistema ha due svantaggi.
Il primo, sempre più remoto in Europa, è rappresentato dalla possibilità che l’auto sia parcheggiata in un punto non coperto dagli Sms e il secondo è il costo dell’impianto a bordo, 1.500 euro, che scoraggia la rotazione rapida dell’autovettura, impedendo così l’accesso a modelli più efficienti sotto al profilo energetico. Però i costi legati ai Rfid dovrebbero scendere e all’orizzonte si prospettano nuovi sviluppi. Già oggi alcune aziende utilizzano i veicoli di Mobility come se appartenessero alla propria flotta aziendale per i funzionari, ai quali è sufficiente arrivare al parcheggio per utilizzare un’auto in car sharing come se fosse quella aziendale: semplicemente con un Rfid in tasca. È la premessa allo sviluppo di una mobilità integrata individuale che fa perno sull’intermodalità. Un telefono cellulare e una card Rfid saranno sufficienti per avere un’auto quasi on demand e non è escluso che in futuro i Rfid per il car sharing non trovino posto all’interno dei biglietti aerei e della metropolitana.
Sergio Ferraris
L'articolo è stato pubblicato sulla rivista Qualenergia e su Qualenergia.it
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