La crisi finanziaria in corso non è che il primo atto di una successione molto più articolata, intensa e profonda di quanto non possa apparire agli occhi degli esperti. Mentre l’attenzione è ancora focalizzata su aspetti numerici, la cui entità lascia comunque senza parole, la storia ha iniziato un percorso molto più complesso. E infatti, per poter guidare la politica del cambiamento non sono gli aspetti numerici quelli da monitorare con attenzione ma la connessione fra economia e società, ed infine fra società ed individui. In uno scenario in cui occorre far ripartire un mondo paralizzato dalla paura e dalla mancanza di liquidità, non è il calcolo preciso della entità del disastro finanziario che ci potrà indicare la direzione verso la quale concentrare gli sforzi e le energie dei milioni di uomini potenzialmente ancora capaci di reagire.
Negli ultimi anni pensavamo di aver familiarizzato con i dissesti finanziari, assistendo alla tragedia della Enron o di Parmalat, e oggi potremo pensare che anche questa crisi passerà come sono passate le precedenti. Alcuni un po’ più poveri, qualcuno suicida, qualcuno condannato in prigione ma sempre all’interno di un sistema in grado di auto-rigenerarsi.
Ma questa non è solamente una crisi finanziaria. Lasciando da parte i cambiamenti climatici e la geopolitica dell’energia, si può supporre una successione di almeno tre crisi: finanziaria, economica e culturale. La prima, quella finanziaria, come abbiamo imparato, rende tutti un po’ più poveri: le persone perdono i loro risparmi in azioni o titoli e i beni immobili diminuiscono le rendite. La seconda crisi nasce dalla mancanza di liquidità alle imprese ed è quella economica. Si perdono posti di lavoro e con essi la prospettiva di avere un futuro migliore del presente. Non è ancora la depressione, si può ancora avere la speranza che il sistema si auto-rigeneri e che si trovino altri lavori e altre prospettive in nuovi mercati che si apriranno. Il fatto ad esempio che si assista ciclicamente a crisi in alcuni settori in concomitanza ad innovazioni tecnologiche potrebbe far pensare che anche questa volta la situazione si risolverà in alcune chiusure di attività e nella nuove aperture. Che, insomma, potrebbe comportare solamente un rinnovamento di alcune imprese.
Ma la vastità del cambiamento porta all’ultima crisi, quella culturale, che poi è quella che conduce le persone alla depressione. La depressione è il punto di non ritorno. Il punto che si può oltrepassare solo cambiando radicalmente il presente inventandosi nuove strade. E bisogna avere il coraggio e la forza per inventare queste nuove strade riuscendo ad immaginare nuovi sogni e, soprattutto, nuovi valori.
La depressione è la paralisi dell’azione, l’attesa che qualcun altro risolva una situazione che non siamo in grado di gestire autonomamente. Perché per cambiare bisogna riconoscere che la strada finora seguita non era quella giusta, i valori su cui si fondava il significato delle nostre azioni non erano quelli condivisibili dagli altri.
Ecologia e sostenibilità assumono allora significati indipendenti da quelli relativi alla protezione ambientale e si riferiscono alla capacità di co-abitare in un pianeta affollato ed interconnesso. Reale e virtuale allo stesso tempo. Proprio come le regole finanziarie: un mondo virtuale con regole artificiali ed antropiche ma connessioni che sono state vendute come reali.
Per uscire dalla depressione servono anni di terapia. E gli psichiatri sanno che spesso non si riesce a far tornare le persone agli stessi livelli di attivismo e di azione che avevano prima della crisi. Quindi, se per uscire dalla crisi serve la capacità di sognare qualcosa di diverso e di impegnarsi per il cambiamento e se queste persone non riescono a vedere altro che il proprio presente, il vero rischio è quello di dover aspettare che nuove generazioni arrivino sulla scena.
Per desiderare il futuro e per impegnarsi nella sua costruzione non si deve aver paura di osare e si deve saper sognare collegando questi sogni all’azione presente. Non magia e attesa di eventi miracolosi, ma impegno e voglia di avventura.
Guardando la scena con l’occhio della politica, quindi, esiste un solo modo per evitare tempi lunghi per uscire dalla crisi culturale ed è quello di intercettare i cuori delle persone prima che entrino nella grande depressione fornendo loro nuovi sogni basati su valori sostenibili. E questa volta la parola “sostenibile” deve essere intesa anche in senso ambientale.
Non serve andare a cercare gli errori per puntare il dito contro alcuni dei colpevoli. Serve qualcuno che indichi la direzione del cambiamento. Ci sarà poi un momento anche per i giudizi di merito e per individuare e, forse, perdonare i colpevoli. Non ora. Non prima di aver iniziato a costruire qualcosa di diverso. Come è avvenuto in Sud Africa alla fine dell’apartheid.
Per illustrare visivamente ed empaticamente quanto affermato possiamo fare un esempio riguardante il rapporto fra l’uomo e la mobilità, considerata un aspetto fondamentale della modernità della vita. Un uomo perde i risparmi e il lavoro (prime due crisi) e si trova costretto a dover modificare radicalmente i propri stili di vita. Magari questo uomo deve cambiare casa, abitudini, supermercato, nuove marche sconosciute di prodotti e attenzione ai prezzi. E magari deve rinunciare alla propria potente auto fuoristrada che rappresentava il segno del suo successo, anche di fronte ai propri figli.
Per spostarsi non gli restano che due alternative possibili: utilizzare i mezzi pubblici o passare ad una utilitaria dai bassi consumi e basse spese di gestione. In entrambe le circostanze questo uomo è facilmente attaccabile dalla depressione e dal desiderio di non fare più nulla. Anche perché conosce solo il cammino che fino ad allora ha seguito e che lo ha portato in questo punto morto. Si sente di dover dare spiegazioni, e magari giustificazioni che non sa neanche comprendere, ai propri figli.
Ma se questa piccola automobile fosse un’auto elettrica? Se questo cambiamento di status fosse accompagnato da valori associati al rispetto dell’ambiente e da un nuovo legame fra le generazioni, unite proprio nel cercare di contrastare i cambiamenti climatici imparando a convivere in miliardi su questo pianeta?
La situazione già si profila più stimolante. Il genitore non deve più giustificarsi con il figlio per il proprio passato. L’azione è proiettata al futuro in un gioco di squadra che tutti i membri della famiglia decidono di giocare insieme. E’ una sfida che richiede impegno, partecipazione e la necessità di avviare nuove imprese economiche, industriali e sociali. E’ uno dei possibili mondi da costruire per cambiare il presente.
E se questo signore che è passato all’auto elettrica si costruisse un piccolo impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili con il quale alimentare la propria auto? Situazione intrigante. Con innumerevoli messaggi da dare al figlio, agli amici. Con impegni economici che richiedono di essere attivi e di non lasciarsi andare alla depressione. Nuovi traguardi da raggiungere e sogni per cui lottare. Un nuovo stato sociale di “prosumer”, ossia contemporaneamente di produttore e consumatore di energia da fonti rinnovabili. Nuovi valori in base ai quali attribuire significato alle azioni quotidiane e sui quali fondare i legami sociali ed i giudizi di valore che regolano i legami fra le persone.
Nuovi modelli di società sui quali, magari, costruire le nuove regole che dovranno sostituire quelle insostenibili definite dai mercati finanziari e che hanno portato alle attuali crisi. Quelle su cui immaginare una nuova Bretton Woods. E una nuova Bretton Wood avrà senso perché nel frattempo saranno nati nuovi mercati e nuove imprese legate a stili di vita sostenibili.
L’azione politica, quindi, riscopre una sua etica pubblica di fondo che riguarda gli aspetti ambientali ma non è solamente legata all’ambiente. I grandi impianti di produzione di energie rinnovabili non hanno la stessa importanza sociale e culturale di quelli piccoli, a livello di famiglia o di comunità. Non possono trasmettere valori sociali perché non hanno legami con gli stili di vita individuali, ossia con i valori degli individui che compongono la società.
Il problema è quindi filosofico perché riguarda il significato dell’azione del singolo. Un significato che deve avere anche una componente emozionale forte al punto da spingere all’azione. Allora accanto alla Bretton Woods ci vuole anche un nuovo Manifesto culturale che accompagni il cambiamento indicandone la direzione. Che dia nuovi valori alle persone sui quali immaginare prima, e costruire poi, nuovi stili di vita. Ed infine dia alle industrie le caratteristiche essenziali dei nuovi prodotti da immettere sul mercato.
Senza questa operazione culturale, la depressione sarà molto più lunga di quanto gli analisti finanziari non immaginino. I loro trend saranno tutti sovvertiti dalla incapacità di un’intera generazione di rimettersi in moto lungo un percorso faticoso e senza sogni, se non quelli di continuare a perpetrare lo steso stile di vita che ha condotto il mondo al collasso e che ha infranto le aspettative di milioni di persone. Specialmente di quelle che non si trovano nella situazione di benessere nella quale ci troviamo noi dei paesi ricchi (o ancora ricchi) incapaci di convivere con frugalità o povertà.
Le energie rinnovabili, l’efficienza energetica o l’auto elettrica da sole non possono essere una risposta per evitare la depressione. Ma se sono associati ad un movimento filosofico che porti alla definizione di valori sui quali basare l’etica pubblica di una azione politica, allora si può anche pensare di avere degli strumenti con i quali affrontare la vera depressione.
Il collasso del sistema finanziario comporta la fine di un mondo basato sulla supremazia dell’uomo sulla natura. E forse non proprio di tutti gli uomini, come nella Fattoria degli Animali di Orwell. Per cui abbiamo bisogno anche un altro modo di controllare l’azione politica, di fare opposizione. Dobbiamo abbandonare la facile suggestione di essere nel giusto e dobbiamo creare un sistema bilanciato di valori. La fine di un fraintendimento riguardo le connessioni fra paesi. Come nel ciclo di Jin e Jang.
Se il Protocollo di Kyoto o altri accordi sull’ambiente non hanno raggiunto la vita quotidiana delle persone, se non sono diventati la base di una nuova relazione fra uomo e natura, forse dobbiamo immaginare qualcosa di differente.
Le cornici legali o amministrative sono essenziali ma non sufficienti a muovere le persone all’azione. A parte il fatto che anche il Protocollo di Kyoto è basato su un teorema finanziario, non è il momento di classificare chi aveva ragione e chi torto. Abbiamo bisogno di condividere nuovi sogni insieme. Ed anche se questi sogni comportano la relazione fra l’uomo e la natura, questo non significa che questa sia la stessa relazione che gli ambientalisti avevano immaginato.
Da tutto quanto esposto, governare la crisi può essere un’avventura meravigliosa perché possiamo immaginare un mondo che ancora non esiste, cambiare alcune “stupide” regole che ci hanno oppresso ed essere coinvolti in una nuova relazione sostenibile con la natura (essendo noi stessi parte della natura).
Claudia Bettiol