L’utilizzo del freddo nella terapia medica ha una serie di metodologie ormai consolidate. Una di quelle che vanta il maggior successo è la criochirurgia. Si tratta di una pratica chirurgica per la rimozione di tessuti dannosi che si basa sul sull’applicazione di basse temperature nelle zone da trattare attraverso l’utilizzo di apposite apparecchiature che impiegano un gas, di solito il protossido d’azoto, sfruttandone l’espandibilità.
In pratica si riesce, attraverso getti di gas a bassa temperatura, a circa -90° C, iniettato tramite una sonda, ad abbassare la temperatura nella zona da trattare con una precisione millimetrica e senza danneggiare i tessuti circostanti. L’aumento della precisione che si è ottenuto negli ultimi anni, anche grazie all’affinarsi delle tecnologie, sta portando la criochirurgia a sostituirsi sempre più spesso alla chirurgia tradizionale, a quella laser e alla diatermocoagulazione, con percentuali di successo sempre maggiori. I campi di applicazione maggiori della criochirurgia sono, oggi. la dermatologia, la ginecologia, l’oculistica, ma in più in generale questa tecnica è orientata verso il controllo delle emorragie, la riduzione delle tumefazioni a scopo anestetico e antidolorifico.
La crioterapia, nel concreto agisce determinando una modificazione biologica, indotta dalla bassa temperatura, della cellula causandone la morte. Applicando il terminale della sonda criogenica sulla parte alterata, infatti, si formano cristalli di ghiaccio internamente ed esternamente alla cellula malata che ne disgregano la struttura e inoltre si blocca l'afflusso di sangue che nutre la cellula.
Altro vantaggio della crioterapia è il fatto che di solito una volta effettuata l'applicazione criogenia si forma una bolla piena di acqua nella quale vi è un'intensa attività di proliferazione di cellule sane, che si distribuiscono a ricostruire il tessuto senza poter essere aggredite da agenti esterni che possano infettarle, a differenza di ciò che accade con le altre terapie. La bolla, successivamente, scompare in pochi giorni, viene riassorbita e rimane, nel caso il trattamento sia superficiale, una crosta fino alla completa guarigione.
Si tratta di un procedimento semplice e sicuro, che non presenta danno termico, ne rischio di contaminazione dell'ambiente circostante nel caso di trattamento delle lesioni virali (verruche e condilomi), non necessita di anestesia locale ed è meno doloroso di altri tipi di interventi. Il congelamento, inoltre, blocca il sangue evitando l'emorragia e si possono trattare lesioni multiple in zone anche difficili e in sedute diverse.
Nuove applicazioni
Una particolarità della criochirurgia che la sta introducendo a pieno titolo nella cura di determinati tumori, è il fatto che durante il congelamento vengono bloccati i vasi che nutrono la parte alterata dalla neoplasia. Sono diverse le ricerche che si stanno orientando all’utilizzo della criochirurgia nel settore oncologico, specialmente per ciò che riguarda il tumore del fegato. In pratica il congelamento del tumore impedirebbe, al contrario dell’asportazione chirurgica, che si verifichi la distribuzione di micrometastasi durante l'intervento.
Per la riuscita della terapia oncologica sono importanti una serie di fattori:
- la temperatura deve essere inferiore a -50°C per avere la sicurezza di distruggere anche le cellule tumorali;
- la velocità di congelamento e di scongelamento deve essere rapida e intensa;
- per maggiore sicurezza si deve effettuare un doppio ciclo di congelamento-scongelamento.
Una maggiore maturità, rispetto al tumore al fegato, lo hanno raggiunto i trattamenti oncologici del rene e della prostata.
Recentemente, per la cura del tumore alla prostata e ai reni, sono stati introdotti dei sistemi che anziché utilizzare delle sonde criogenie di grandi dimensioni, circa tre millimetri, utilizzano degli aghi molto sottili che permettono un posizionamento accurato per mirare al meglio l’intervento.
Questi aghi ultra-sottili sono disegnati per un’inserzione percutanea diretta, evitando l’incisione, e possono essere aggiunti, rimossi o riposizionati in pochi secondi, causando un minimo trauma dei tessuti. In pratica questo sistema permette la creazione di palline di ghiaccio precise che si combinano tra loro per creare una zona di congelamento uniformi con temperature letali, per le cellule cancerose. Si tratta di un sistema studiato appositamente per l’utilizzo in urologia e che vuole sostituire trattamenti più tradizionali come la prostatectomia e le radiazioni. Gli aghi necessari per l’infusone del liquido criogenico sono posizionati da una guida e arrivano alla prostata nella quale generano le palline di ghiaccio che distruggono le cellule cancerose contenute nel tessuto prostatico. Il posizionamento e la formazione del ghiaccio possono essere controllati in tempo reale utilizzando dei sistemi di diagnostica per immagini. In questo modo la formazione delle palline di ghiaccio è osservata in tempo reale controllando l’ablazione della prostata ed evitando così di danneggiare i tessuti collaterali. Dei sensori di temperatura osservano, infatti, la temperatura locale della prostata e della superficie che la circonda per una maggiore sicurezza.
Molte di queste palline di ghiaccio si uniscono a formarne una sola ed uniforme creata con lo scopo di gelare la parte interessata; questa palla può essere modificata a secondo della taglia e la forma della prostata. Un catetere, attraversato da acqua calda durante tutta la procedura, è inserito nel pene in modo da proteggere l’uretra contro i danni causati dal freddo. Il medico pianifica dove inserire gli aghi prima di iniziare la procedura in modo da assicurarsi che la prostata intera sia trattata. Tuttavia, in qualsiasi momento durante la procedura il medico può modificare il posizionamento degli aghi, aggiungerne altri.
Altro punto a vantaggio di questa tecnica è il tasso di complicazioni durante e dopo l’intervento che è notevolmente più basso di quello dei sistemi tradizionali. Sempre più spesso si utilizza come fluido refrigerante l’argon al posto del più tradizionale azoto liquido. L’argon è, infatti, più semplice da maneggiare.
La permanenza dopo l’intervento in ospedale è breve, anche di una sola notte, mentre la chirurgia tradizionale richiede vari giorni di convalescenza in ospedale. Anche il tempo di recupero postoperatorio è altrettanto breve. La mobilità è possibile già a ventiquattrore di distanza dall’intervento e il ritorno alle normali attività quotidiane avviene dopo qualche giorno. Dolore e fastidi sono minimi e l’intervento causa solamente ematomi leggeri e rigonfiamenti, al contrario dei traumi più gravi causati dalla chirurgia.
L’intervento al rene
La crioablazione tramite l’utilizzo di microaghi, oltre ad essere un ottimo trattamento per il cancro alla prostata, è stata applicata con buoni risultati anche ai tumori al rene. L’avvento di modalità di diagnostica per immagine di qualità superiore ha permesso, infatti, una maggiore prevenzione permettendo di scoprire piccoli tumori al rene. La crioablazione si è dimostrata la tecnica più promettente, tra le varie tecniche d’ablazione tramite l’utilizzo d’aghi, grazie alla sua capacità di produrre una necrosi completa e lesioni renali ben definite. L’utilizzo di questa tecnica con il gas argon, inoltre, permette un trattamento che risparmia i nefroni per i tumori al rene ed è una scelta migliore rispetto alla nefrectomia radicale o parziale.
Altre aspettative sono continuamente introdotte dai miglioramenti tecnologici che appaiono sulla scena medica e non solo. Probabilmente in futuro le novità arriveranno dall’incrocio tra soluzioni crioterapiche consolidate e le micro-nanotecnologie. I nuovi materiali di questo tipo, infatti, permetteranno di colpire sempre con maggiore precisione gli agglomerati tumorali nella primissima fase di crescita, garantendo percentuali di successo sempre maggiori.
Sergio Ferraris
Il principio della crioterapia
Quando la temperatura raggiunge il livello ipotermico, l’acqua al di fuori delle cellule inizia a cristallizzarsi, creando cosi un ambiente extra-cellulare che disidrata le cellule stesse. In seguito, il ghiaccio cristalizzato inizia ad aumentare a livello extra-cellulare, le cellule si rimpiccioliscono e di conseguenza le membrane e le cellule che ne fanno parte sono danneggiate in maniera rilevante. In poco tempo, dell’ordine di qualche minuto, l’alta concentrazione di elettroliti è sufficiente a distruggere le cellule. L’effetto di disidratazione della cellula a soluzione concentrata non è sempre letale per le cellule, in realtà la formazione di ghiaccio all’interno stesso della cellula è molto più efficace nella loro distruzione.
La prima dinamica è associata a un basso tasso di raffreddamento, mentre la formazione di ghiaccio all’interno delle cellule si ottiene con un tasso di raffreddamento veloce. Benché l’acqua pura si ghiacci a 0°C, la formazione di ghiaccio extra-cellulare inizia approssimativamente tra i -7 a i -10°C, mentre a -15°C il ghiaccio comincia a formarsi all’interno delle cellule e a -40°C tutti i processi metabolici cessano. In entrambi i casi, sia a un basso tasso di raffreddamento, dell’ordine di diversi gradi Centigradi al minuto, sia un tasso di raffreddamento molto rapido, dell’ordine di centinaia di gradi Centigradi al minuto, sono comunque da tenere in considerazione per il loro notevole effetto distruttivo sul tessuto biologico.
Sergio Ferraris
L'articolo è stato pubblicato su ZeroSottoZero, edizioni Tecniche Nuove