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:: Tecnologia |
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RITORNO AL FUTURO |
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Quando si pronuncia la parola rinnovabile il pensiero corre immediatamente all’energia. Eppure anche per le materie prime il concetto è valido e se guardiamo indietro è facile notare che tutto il mondo della produzione, fino ai primi del novecento ,si è basato su risorse rinnovabili, come i tessuti naturali, il legno e la chimica derivata dai vegetali. Il momento di rottura avvenne verso gli anni cinquanta quando l’introduzione della chimica di sintesi, flessibile, applicabile su grande scala e basata su una fonte abbondante e a basso costo come il petrolio spazzò le tecnologie industriali precedenti.
Oggi, nonostante solo il 4% del petrolio consumato nel Mondo sia utilizzato come base materiale per le produzioni industriali, il resto, infatti, viene impiegato per l’energia, si torna a parlare dell’impiego di materie prime rinnovabili in chimica. Ciò è dovuto sia all’internalizzazione dei costi ambientali nei processi di produzione, sia da una rinnovata maturità tecnologica dei processi che rendono appetibili produzioni e metodologie industriali abbandonate qualche decennio fa.
Sull’utilizzo delle materie prime rinnovabili ci si trova spesso di fronte a posizioni precostituite se non a veri e propri luoghi comuni.
Da un lato c’è chi ribadisce posizioni come quella che ne assicura la sostenibilità ambientale totale, mentre dall’altro troviamo chi sostiene con forza che siano troppo costose. La questione, in realtà, risiede nella complessità delle produzione chimiche e nella varietà dei processi che devono essere analizzati caso per caso.
«Non c’è una difficoltà strutturale nell’utilizzo delle materie prime rinnovabili. Il problema risiede nei costi e nei metodi di applicazione. Il petrolio è diventato il punto di riferimento nella chimica per la versatilità e per l’economicità. - afferma il professor Attilio Citterio del dipartimento di chimica del Politecnico di Milano – Oggi altri due fattori giocano un ruolo importante: quello della scarsità del petrolio e la tossicità di alcuni suoi derivati». Anche le materie prime rinnovabili possono, infatti, contenere elementi tossici che però sono presenti nell’ambiente e che per questo motivo trovano degli antagonisti naturali in grado di neutralizzarle. Per questo sono intrinsecamente meno pericolose di quelle derivate dal petrolio, anche se bisogna analizzare in profondità ogni caso.
Gli elementi positivi delle materie prime rinnovabili sono la neutralità rispetto alla CO2, la maggiore conservazione delle risorse energetiche, la biodegradabilià e i minori trasporti, mentre quelli negativi sono l’utilizzo eccessivo dei suoli, l’eutrofizzazione delle acque superficiali e l’ inquinamento da pesticidi.
I dati relativi all’agricoltura no-food, principale processo legato alla produzione di materie prime rinnovabili dimostrano comunque una crescente attenzione verso questo settore. La crescita mondiale è stata , tra il 1998 e il 2003, del 39,7%, con percentuali positive del 89,3% per gli amidi, seguiti da un’ottima performance degli oli industriali, più 58,4% e delle fibre, più 21,6%.
Nell’area UE le materie prime rinnovabili possiedono un mercato di 33 Mt per i polimeri, 5 Mt per i lubrificanti, 4 Mt per i solventi e 2 Mt per i tensioattivi. Del resto il vecchio continente crede in queste tecnologie. Negli anni novanta l’Unione europea ha finanziato 145 progetti coinvolgendo 1.500 ricercatori, con un impegno complessivo di 228 milioni di euro.
Oggi lo scenario per uno sviluppo delle materie prime rinnovabili sembra favorevole perché la ricerca ha ottenuto buoni risultati, l’agricoltura sta cercando alternative alle colture tradizionali in crisi, l’industria studia nuovi settori di penetrazione e una sempre maggiore fetta di consumatori è disposta spendere di più, per avere prodotti che offrono maggiori garanzie sul fronte ambientale.
Sergio Ferraris
L'articolo è stato pubblicato su Borsa & Finanza
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Silicio e platino. I paradossi |
L’abbondanza può mettere in crisi un settore e la scarsità svilupparlo. Il nodo centrale è la gestione delle filiere industriali
L’affacciarsi di nuove tecnologie all’interno degli scenari globali porta a fenomeni di mercato inattesi. È il caso di due materiali legati alle energie rinnovabili: il silicio e il platino. Il primo, utilizzato nel settore della generazione fotovoltaica è protagonista di una crisi che potrebbe seriamente ostacolare, sul breve periodo, l’affermarsi di questa tecnologia. Lo sviluppo del mercato dei pannelli solari, infatti, ha colto impreparati gli operatori che hanno sottovalutato l’impennarsi delle richieste continuando ad utilizzare, come materia prima, lo scarto dell’industria dei microchip. Nel 2005 sono state utilizzate globalmente 35mila tonnellate di silicio puro di cui il 55% dall’industria elettronica e il 45% da quella solare. In Europa è stato sottovalutato l’allarme lanciato tra anni fa dal Centro comune di ricerca di Ispra che aveva previsto la crisi e proposto la creazione di stabilimenti per la fabbricazione di silicio di grado solare. Nel frattempo i costi del silicio sono aumentati passando dai 28 $/kg del 2003 ai 60 $/kg del 2005 annullando così i vantaggi introdotti dalle maggiori economie di scala del comparto.
Per ciò che riguarda il platino, utilizzato nelle celle a combustibile e assai raro in natura, il discorso è diverso. La sua scarsità è un ostacolo allo sviluppo dell’economia basata sull’idrogeno. Le celle a combustibile, infatti, dovrebbero essere il punto di snodo per lo sfruttamento dell’idrogeno sia nell’autotrazione, sia nella generazione distribuita, ma uno dei loro punti deboli è proprio la scarsità del platino. Stretti dalle 195,7 tonnellate estratte globalmente nel 2004 e dall’alto costo i ricercatori di tutto il Mondo si sono mossi per trovare una valida alternativa e i risultati non si sono fatti attendere. Oggi, infatti, delle cinque linee di celle a combustibile presenti sul mercato solo due impiegano il platino, mentre le tre restanti utilizzano materiali alternativi. Si tratta di un caso nel quale la scarsità della materia prima sta facendo da volano per lo sviluppo tecnologico. |
La buona plastica è italiana |
Un’azienda all’avanguardia nell’utilizzo di materie prime rinnovabili è l’italiana Novamont.
Il suo principale prodotto, il Mater-Bi, è una bio-plastica che ha caratteristiche identiche alla plastica convenzionale, ma è biodegradabile. Il Mater-Bi è costituito da amido di mais o di patate. Il prodotto è biodegradabile e può essere utilizzato con i rifiuti organici per produrre compost. Per la produzione di un kg di Mater-Bi l'energia impiegata è compresa tra i 19 e i 53 Mj, mentre le emissioni di gas serra variano da meno 0,34 kg (assorbimento invece di produzione) a 1,2 kg di CO2, contro i circa 80 Mj e i 2 kg di CO2 della produzione di un kg di polietilene tradizionale. Bruciando un kg di polietilene emette 3,14 kg di CO2 mentre la stessa quantità di Mater-Bi emette da 1,4 a 1,8 kg di CO2. In termini di sfruttamento dei suoli per ogni kg di Mater-Bi occorre un kg di mais e per produrlo si potrebbero utilizzare i terreni in regime di set aside (agricoltori pagati per non coltivare i propri campi).
Il Mater-Bi è impiegato in un pneumatico innovativo di Goodyear, nel quale prende il posto del nerofumo e della silice, migliorando le prestazioni del prodotto. La diminuzione della resistenza al rotolamento, dovuta al peso inferiore, riduce l’attrito con l’asfalto e di conseguenza i consumi delle autovetture, con un abbattimento delle emissioni di CO2 fino a 10gr/km. Non è poco. L’industria automobilistica europea, infatti, deve raggiungere, nel 2008, una riduzione di 46 gr/km di CO2. |
Sergio Ferraris
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