Trump investe, ma lo fa in maniera sbagliata. Potrebbe essere un problema per l’ambiente, l’economia circolare e le rinnovabili il nuovo piano d’investimenti da 200 miliardi, che dovrebbe stimolarne per 1.500, voluto da Donald Trump. Il progetto presentato alla Casa Bianca davanti a sindaci e governatori dovrebbe servire a rinnovare le “fatiscenti” infrastrutture del Paese, che sono il tallone d’Achille degli Usa. Numeri assoluti a parte non si tratta di una grande cosa visto che le cifre sono distribuite in dieci anni, tempi molto lunghi per un’economia in rapida trasformazione come quella Usa, specialmente se si rapportano al Pil del gigante americano. In pratica si tratta di 20 miliardi di dollari l’anno, 150 in totale a fronte di un Pil che è stato nel 2016 di 18.570 miliardi di dollari. E i 1.300 miliardi aggiuntivi previsti dal piano degli investimenti dovranno essere reperiti o attraverso gli enti locali, o i privati.
«Dopo aver speso così stupidamente 7 mila miliardi in Medio Oriente, ora è tempo di cominciare a investire nel nostro Paese. – ha scritto su Twitter, Trump – Costruiremo splendide nuove strade, ponti, autostrade e vie d’acqua in tutto il nostro Paese. E lo faremo con il cuore americano, con mani americane e con il coraggio americano». Il piano dovrebbe essere un volano per spingere la crescita economica e creare posti di lavoro, e Trump conta anche su investimenti stranieri. «Ci sono molti Paesi, molte persone che voglio davvero mettere enormi quantitá di soldi per le infrastrutture», ha detto al Wall Street Journal, ipotizzando che gli investimenti possano arrivare anche a 1.700-1.800 miliardi di dollari. Il piano fa parte della proposta della Casa Bianca per il bilancio 2019: un budget da 4.400 miliardi di dollari per il 2019 che prevede, tra l’altro, un aumento delle spese militari con 686 miliardi di dollari per il Pentagono (+13%), 18 miliardi per il muro col Messico, 23 miliardi per la sicurezza dei confini e tagli ai programmi socio-sanitari.
Le reazioni al piano per le infrastrutture sono scettiche. Parecchi parlamentari ritengono che i finanziamenti federali siano insufficienti e che le amministrazioni locali faranno fatica a reperire fondi, salvo aumentare tasse e pedaggi. E quindi incidendo direttamente sulla società a scapito delle fasce più deboli.
Dei 200 miliardi indicati da Trump, metá sarebbero incentivi per attirare finanziamenti locali e privati, con l’obiettivo di generare 6,5 dollari di investimenti privati per ogni dollaro messo dal Governo federale.
Il tutto con molte delle decisioni che saranno restituite ai governi locali e statali, saranno rimosse le “regole inutili” e i tempi per ottenere i permessi che saranno ridotti. La regia federale dovrebbe essere limitata alla creazione di un’agenzia unica per gestire tutto il processo dei permessi. E questa è una “deregulation” che inquieta gli ambientalisti. Lo “snellimento” del sistema di valutazione ambientale per esempio, porterà a un allentamento, già in parte messo a punto da Trump, dei vincoli ambientali, a cominciare da quelli sull’inquinamento.
Tra le opere da ristrutturare di sicuro ci saranno le reti elettriche che negli Stati Uniti sono molto deteriorate anche perché sono state considerate per anni degli investimenti poco redditizi sul breve periodo. Con una tipologia simile di investimento si proseguirà in questa logica, con un’aggravante. Difficilmente i privati, o gli enti locali troveranno conveniente investire nel collegamento tra i luoghi adatti alla produzione da rinnovabili e quelli di consumo dell’elettricità che molto spesso non coincidono. In questa maniera si metterà una seria ipoteca allo sviluppo della generazione distribuita da parte delle rinnovabili che, oltretutto, in assenza di una rete efficiente e capillare potranno beneficiare dei servizi di rete per ovviare alla loro intermittenza.
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